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Harry Rosenthal: la danza della vita

A Carpiano, nella campagna intorno a Milano, la grande cascina «La Longora» ristrutturata è l’abitazione-atelier dello scultore Harry Rosenthal. Non è facile incontrarlo, vive per alcuni mesi l’anno in Portogallo, dove il figlio gestisce un resort internazionale. Oggi Rosenthal ha 92 anni, lucidissimo anche se l’età, e in particolare la vista, lo affaticano. Tempo addietro, quando Rosenthal era imprenditore a Milano, frequentava abitualmente la chiesa valdese, per la quale realizzò e donò delle stupende vetrate a tema biblico. Un’opera su vetro, mi ricorda egli stesso, che «volli donare alla chiesa valdese con immenso piacere e gratitudine», anche se quel dono innestò nella comunità una vivace discussione sulla relazione tra arte e fede.

Da allora molta acqua è già passata sotto i ponti ma Rosenthal ricorda, con un po’ di nostalgia, quella frequentazione del culto che la distanza e gli acciacchi rendono ora difficoltosa. Nel luglio scorso, proveniente da Parigi, è in visita alla «Longora» il suo amico Jean-Pierre Harlet, originario delle Cevenne e discendente da una schiatta di ugonotti. Harlet mi consegna un suo scritto sulla risurrezione del Cristo. Venti paginette scritte a mano: «È una mia confessione di fede». Per Harlet incontrarsi con Rosenthal significa (anche) discutere di Dio. E dire che sono entrambi ingegneri.

Rosenthal, artista di fama mondiale, è un protagonista ante litteram del dialogo tra religioni. La sua stessa biografia è l’illustrazione di questo confronto tra spiritualità diverse. Da Vienna, dove l’artista nasce (nel 1922) e cresce in ambiente ebraico, l’invasione nazista lo costringerà a emigrare. A Parigi, studente universitario, conoscerà l’ambiente protestante a cui finirà con l’aderire. Dopo la guerra, nel 1947, visita in Italia le città d’arte e studia a fondo l’opera di Michelangelo. Se come ingegnere elettrotecnico Rosenthal diventerà, a Milano, un brillante capitano d’industria, come artista rimane un autodidatta. Sperimenta tutto: argilla, gesso, bronzo, leghe di metallo, vetro. Fin da subito si legherà a Emile-Laurent Noël, pittore francese che per primo lo introdusse nel mondo dell’arte. E qui la scultura diventerà il dominio di Rosenthal.

Decine di mostre e di opere in spazi pubblici testimoniano, oggi, della sua profonda e originale religiosità. Un solo esempio: il gruppo di sculture I quattro cavalieri dell’apocalisse e il Bianco cavallo della pace, collocati nel giardini pubblici di via Palestro, in centro a Milano, meritano certamente una visita. L’ultima mostra, in ordine di tempo, di Rosenthal si è svolta presso la Fondazione Fgs a Cassano Magnago (Varese), intitolata «L’armonia danzante della vita». Il percorso prevedeva una ventina di sculture tutte intonate alla musica o alla danza. Tra queste, quattro sono dedicate a Davide che danza e suona con l’arpa. «Il messaggio biblico ha frequentemente orientato la mia arte – dice Rosenthal – e la mia fede nel Creatore si proietta oltre gli steccati confessionali». Mentre mi parla penso che sarebbe importante se durante i sei mesi dell’Expo potessimo riproporre, nel tempio valdese di Milano, la sua collezione dedicata all’«armonia danzante della vita». Affiora come riconoscenza e gratitudine all’Eterno prevalgano sulle preoccupazioni e le crisi. Una danza non per stordirsi ma per attraversare i drammi con speranza. Un messaggio estetico e spirituale di grande attualità.