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Insegnare Antico Testamento a Parigi

È presente al Sinodo in qualità di interprete per la lingua francese, Corinne Lanoir, docente di Antico Testamento presso la Facoltà protestante di teologia a Parigi, che dal 2005 al 2010 è stata direttora del centro ecumenico di Agape (Prali). Da un anno è decana dell’istituto teologico parigino. Cogliamo l’occasione per rivolgerle alcune domande.

Come si configura oggi il suo insegnamento di Antico Testamento presso la facoltà di teologia a Parigi?

«Oggi l’insegnamento di Introduzione all’Antico Testamento si presenta come un campo interessante e difficile: interessante perché in questo momento sono cambiate molte ipotesi ed il campo di ricerca si presenta più aperto; difficile perché come docente devo capire cosa proporre agli studenti che cominciano a studiare la Bibbia. Dico questo, perché spesso gli studenti e le studentesse che arrivano in Facoltà non hanno un bagaglio pregresso di cultura biblica o ne hanno poco, e coloro che ce l’hanno, portano con sè una visione molto dogmatica. Ciò che, dunque, propongo loro nel mio corso è di assumere un atteggiamento di apertura, e di imparare ad essere disponibili a cercare nei testi biblici non la risposta che si vuol trovare, ma ad assumere realmente i testi biblici come interlocutori con cui confrontarsi e a volte scontrarsi».

È certamente un modo di fare ricerca non consueto…

«Sì, è un percorso molto bello e complicato. In questa direzione, un’altra sfida per me è prendere in considerazione le diverse origini confessionali e geografiche degli studenti, avendo nell’impostazione didattica una preoccupazione interculturale. L’anno scorso, ad esempio, è stato svolto in Facoltà un corso sul profeta Zaccaria e, come modalità di valutazione finale, è stata proposta la realizzazione di una rappresentazione teatrale. Questa proposta è stata accolta positivamente: in primo luogo è stata una buona occasione per valutare gli studenti che, forse, con una tradizionale dissertazione, avrebbero avuto più difficoltà a mettersi in gioco; in secondo luogo, il gruppo ha sperimentato l’ascolto reciproco e ha vissuto le relazioni interpersonali in maniera nuova e partecipata».

Quanti studenti frequentano la Facoltà teologica parigina?

«Complessivamente ci sono circa 170 studenti. Per quest’anno non so ancora il numero definitivo delle nuove iscrizioni perché esse si chiuderanno a metà settembre. Lo scorso anno i nuovi iscritti sono stati una cinquantina».

Qual è la loro provenienza?

«Una parte viene dalle chiese riformate e luterane: c’è chi arriva dopo la maturità, chi è al secondo corso universitario, chi lascia la propria professione per rispondere ad una vocazione pastorale, e anche pensionati che, già da tempo impegnati nella chiesa, decidono di intraprendere un percorso accademico. Abbiamo, poi, anche studenti che provengono dai sobborghi di Parigi, precisamente da chiese che non sono riconosciute a livello istituzionale, e anche da chiese pentecostali. Molto spesso questi studenti, avendo un’impostazione teologica fondamentalista, vivono un vero e proprio choc quando si confrontano con la nostra teologia di stampo liberale. Non mancano le difficoltà, ma credo che sia interessante che si rivolgano a noi per la formazione teologica».

Vi sono studenti che vengono dall’estero?

«Sì, ci sono studenti che vengono dalla Cina, dalla Corea e poi, da due anni presso il nostro ateneo è attivo il programma Erasmus. Al di là di esso, la nostra facoltà intrattiene progetti di scambi e lavora al rafforzamento delle reti internazionali per consentire ai nostri studenti di fare un anno accademico all’estero – che da noi non è obbligatorio – ma che riconosciamo essere molto utile».

La collaborazione con la Facoltà valdese di Roma si esprime anche in altri ambiti?

«A livello istituzionale partecipiamo all’incontro regolare delle facoltà di teologia nell’ambito della Conferenza delle Chiese protestanti dei Paesi latini d’Europa (Cepple). E poi abbiamo importanti collaborazioni tra i professori: io, ad esempio, ho tenuto corsi a Roma, e il prof. Yann Redalié è venuto a tenere delle lezioni a Parigi. Inoltre, questa primavera è stato pubblicato il libro “Figlie di Agar. Alle origini del monoteismo delle due madri”, a cura di Letizia Tomassone (ed. Effatà), che è il risultato di un convegno delle teologhe femministe svoltosi alla facoltà valdese di Roma».

Per concludere, una curiosità: a questo Sinodo lei non partecipa in quanto deputata né in quanto di decana della facoltà protestante di Parigi, ma in qualità di interprete, compito anche piuttosto faticoso… Perché?

«Devo dire che occuparmi della traduzione simultanea è un lavoro che mi piace molto. Se non avessi fatto la pastora avrei voluto fare la traduttice. Poi lo faccio molto volentieri, perché partecipare al Sinodo è un modo per tornare in Italia dove ho un pezzo importante della mia vita, del mio cuore, e dove ho alcuni amici a me molto cari».