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Diario di viaggio: Israele, 31 agosto – 7 settembre 2014

Non vado, vado, guerra, pace. Negli ultimi due mesi avevo perso le speranze. Ma da cinque giorni c’è la tregua, e finalmente parto. Siamo 35, valdesi e cattolici. 15 hanno deciso di non partire… li capisco: il consiglio di ‘Viaggiare Sicuri’ di scaricare l’elenco dei rifugi antiaerei non era incoraggiante: io li ho stampati e messi in valigia ma li ritroverò intonsi al mio rientro.

All’aeroporto ci sottopongono ad un interrogatorio: chi sono le guide, chi ha fatto la valigia, è sempre stata con te, qualcuno ti ha dato qualcosa, conosci persone in Siria, Libano, Gaza, porti armi con te…. a stento mi trattengo: Lorenzo, la nostra guida, ha detto di non fare battute.

Decolliamo, atterriamo, bus, finalmente inizia il tour: in un paesaggio inaspettatamente verde, visitiamo il Monte Tabor con la chiesa della Trasfigurazione, Sefforis e Tabgha e i loro mosaici, le rovine di Capernaum, il Lago di Tiberiade.

Da Nazaret a Gerusalemme attraverso la Samaria, il paesaggio diventa arido, la visita al pozzo di Giacobbe è un momento di grande emozione. C’è stato Gesù, conosciamo il racconto a memoria, ma essere qui mentre il pastore legge il Vangelo è diverso. Nessuno parla.

A Taybeth (unica città completamente cristiana) tocchiamo l’ossessione derivante dal continuo conflitto ebrei-cristiani-musulmani: la lettura delle sure del Corano contro gli infedeli è inquietante, non si vede via d’uscita, non c’è la speranza nella luce che brilla nelle tenebre, soltanto odio e paura di venire annientati, sia come piccola comunità che come cristianità intera: il pronto intervento del pastore Platone allevia un po’ l’angoscia…

Infine eccola: Gerusalemme la bianca. Resto senza parole, il primo approccio è serale, dai tetti, per la prima volta vedo la cupola d’oro, è meravigliosa… Poi i quartieri, la gente (Lorenzo dice che la città è vuota, molti turisti hanno disdetto le prenotazioni, la situazione è critica per chi vive di turismo), la sinagoga, le chiese, il suk, il cimitero ebraico, i cunicoli sotterranei. E poi l’ospedale ebraico la cui sinagoga ospita le vetrate di Chagall, il museo della Shoa che custodisce, nel giardino dei Giusti, il ricordo di Tullio Vinay. Davanti al Muro del Pianto mi colpisce il loro pregare con il corpo, quasi fosse una danza, con la fronte poggiata sul Libro…

E poi Betlemme, con la basilica della Natività, la chiesa ortodossa e la mangiatoia cattolica: siamo “gentilmente” accompagnati verso l’uscita della grotta dal prete ortodosso, mentre alcune ragazze (della sua ‘squadra’) entrate prima di noi, restano ad immortalarsi in selfie sulla stella argentata.

Lorenzo illustra le realtà del luogo, tra storia, Bibbia ed esperienze vissute nei suoi innumerevoli viaggi. Ci accompagna in un convento dove un’arzilla suora sarda ci fa riflettere sulla condizione di donne e bambini in un territorio islamico dove non c’è adozione: i figli illegittimi non hanno diritto di esistere, non avranno mai una famiglia e saranno sempre rifiutati dalla società in quanto “figli del peccato”. Le donne “colpevoli” devono abbandonarli e “scegliere” se morire o diventare quarte mogli di perfetti sconosciuti. Le suore offrono lavoro alle ragazze incinte, inducendo parti al settimo mese per permettere loro di rincasare come se nulla fosse successo…

Il muro che continuiamo a passare tra Israele e i territori autonomi palestinesi è impressionante: questo mostro alto otto metri e lungo quasi 700 km, con il filo spinato in cima e l’esercito alle porte di accesso, è un’offesa per il mondo intero… al mattino la coda di auto è lunghissima, ore e ore di attesa e perquisizioni, a volte i varchi sono chiusi e la gente non riesce ad andare a lavorare; non credo che riuscirei ad adattarmi a una vita del genere, e forse neanche loro.

Tornati a Gerusalemme visitiamo il museo di Israele. Rimaniamo esterrefatti dalle dimensioni della bandiera di Israele su una casa in un quartiere musulmano, acquistata a peso d’oro da un ebreo, che ci vive dentro chiuso a chiave e con l’esercito nel cortile…

La chiesa del Padre Nostro (scritto in un’infinità di lingue e dialetti, tra cui il piemontese e l’occitano) anticipa la discesa al Getsemani, con ulivi di duemila anni, e la Via Dolorosa sino alla chiesa del Sepolcro. La visita alla chiesa luterana è un ristoro per l’udito (un ottetto di giovani tedeschi intona un canto) ma soprattutto per gli occhi, un po’di riposo dopo il bombardamento di icone delle chiese ortodosse. Infine il Cenacolo, splendido nella sua semplicità.

La sera, nel rifugio antiaereo dell’albergo, valdesi e cattolici vivono nel pieno il loro voler essere ecumenici in una terra frazionata tra culle cattoliche, transetti armeni e navate ortodosse: è il momento della riflessione teologica, del culto, di prendere il pane e il vino, insieme.

L’ultimo giorno la sveglia è prestissimo: due anni fa, il gruppo ecumenico analogo al nostro non è riuscito ad entrare; Lorenzo è ancora costernato. Ma ora, alla spianata delle moschee, siamo i primi. Finalmente vedo da vicino la moschea della Roccia, luogo sacro ai musulmani e agli ebrei. L’edificio è meraviglioso, la spianata è deserta, pochi turisti, molti islamici in preghiera. La pace dura poco. Alcuni ragazzi ebrei ortodossi camminano scortati dall’esercito. Non fanno altro, ma basta per indicare che ci sono, adesso e sempre, e che la spianata tornerà a loro; si parla di un grande progetto: costruire lì il terzo tempio… “Allahu Akbar”, le donne velate gli urlano contro: “Allah è il più grande”… loro non si scompongono, percorrono il camminamento in basso, le donne non gli fanno salire la gradinata che porta al piano della moschea. Stiamo lì per circa due ore, ”Allahu Akbar” è la nostra colonna sonora. Usciti, percorriamo le strette vie pedonali di Gerusalemme sino alle mura della città vecchia. L’ultimo sguardo a Gerusalemme è dall’alto, nuovamente sui tetti; è quasi mezzogiorno, il sole è alto; guardo per l’ultima volta la cupola d’oro… Shalom Israel, che la pace sia con te.

Foto copertina: “Jerusalem Dome of the rock BW 13” di Berthold WernerOpera propria. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.