Martin Luther King

La lotta per il diritto di voto degli afroamericani

Esce in questi giorni nelle sale italiane il film Selma – La strada per la libertà, che ho avuto modo di vedere nel mio periodo di aggiornamento negli Usa. Narra di una fase drammatica della lotta dei neri per diritti civili guidata dal pastore battista Martin Luther King jr. Nel 1965 erano stati fatti numerosi passi avanti nel processo per il riconoscimento dei diritti civili degli afroamericani; la questione aveva ottenuto risalto internazionale e King aveva appena ottenuto il premio Nobel per la pace proprio in virtù dei risultati acquisiti dalle sue campagne non violente. Ma molto rimaneva ancora da fare. Il nodo cruciale era soprattutto uno: il diritto di voto.

Negli Usa il voto non è automatico come da noi, perché per esercitarlo effettivamente si devono compiere dei passi formali indispensabili, un’iscrizione i registri pubblici. Questo atto avviene solo dopo alcune procedure, come la verifica del grado minimo di istruzione. Negli Usa si vota molto più spesso che in Italia, anche per cariche che noi non consideriamo «politiche»: una quantità di uffici pubblici sono determinati in questo modo, come lo sceriffo o i pubblici ministeri. E vi è un problema ulteriore, gravido di conseguenze: per far parte di una giuria popolare a un processo – figura giuridica estremamente diffusa nel Nord America, soprattutto in provincia – si deve essere elettori. Insomma, quel che King voleva intaccare era un circolo vizioso fondamentale perché i diritti «scritti» potessero trasformarsi in diritti reali: in molti Stati i neri non avevano diritto di voto perché spesso venivano minacciati se lo richiedevano, oppure la procedura per verificare se non fossero analfabeti si trasformava in un esame impossibile da superare e a discrezione dell’impiegato preposto; per giunta, non essendo elettori, essi erano costretti a subire l’elezione di candidati pregiudizialmente razzisti, che avrebbero sostenuto atteggiamenti che impedivano ai neri di avere il diritto di voto e così via…

Il film analizza le complesse dinamiche che si scatenarono in quei mesi, nei quali ognuno finiva per non fidarsi degli altri: si mostrano le perplessità di diversi gruppi afroamericani rispetto all’efficacia, sempre e comunque, dell’approccio nonviolento ai conflitti inter-raziali, ma anche inaspettate relazioni che si instaurano tra avversari, rappresentanti di fazioni nere che la pensavamo molto diversamente: interessante l’episodio in cui Malcolm X, sapendo che King è in carcere (i due erano su fronti politicamente opposti), si preoccupa di esprimere la sua vicinanza alla moglie Coretta King.

Si presentano però anche le aperte ostilità dei bianchi al diritto di voto ai neri, per ragioni sia strettamente politiche (il capo dell’Fbi, Edgard Hoover, visceralmente anticomunista e pronto a bollare di filosovietismo tutti i suoi avversari) sia biecamente razziste (il governatore dell’Alabama George Wallace). In mezzo a queste forze che si scontrano sta il presidente Lyndon Johnson, sensibile alla causa dei diritti civili ma anche interessato a seguire una propria strategia politica globale verso la Great Society, un progetto politico e di Stato sociale che avrebbe dovuto portare all’eliminazione della povertà, rispetto al quale non era necessariamente disposto a seguire delle scadenze imposte da altri: una scena molto illuminante presenta il colloquio tra il Johnson e il capo dell’Fbi, nella quale si capisce come il presidente voglia tenersi tutte le porte aperte, anche a costo di «bruciare» politicamente M. L. King.

Questo è un aspetto particolarmente valido del film: pur avendo toni anche commoventi e quasi «epici», non cade nell’agiografia. Non vengono ignorate né le tensioni nella famiglia di King né il suo «cinismo politico» tattico, che a volte gli fa preferire degli avversari bianchi picchiatori, brutali – che quindi daranno involontariamente risalto alla loro violenta ottusità sui giornali e in televisione, spingendo paradossalmente anche i bianchi tiepidi a simpatizzare per i neri – a oppositori più prudenti, corretti e quindi meno manipolabili. Ovviamente non si ignorano le «cadute di stile» dei diversi potenti coinvolti nel dramma, che coinvolgeva questioni di principio che avrebbero però mutato il volto degli Usa in maniera molto concreta e dolorosa.

Per l’approccio potremmo paragonare questo film a Il caso Moro (1986) di Giuseppe Ferrara, nel quale quei difficili anni della nostra storia erano presentati senza sconti per nessuno. Selma – La strada per la libertà ha ottenuto la nomination agli Oscar e al Golden Globe 2015; tra gli attori possiamo segnalare David Oyelowo nei panni di M. L. King e un ottimo Tim Roth nei panni del ultra razzista governatore dell’Alabama Wallace.

Foto: Martin Luther King, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons