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In Twitter Veritas

«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Questo ha dichiarato Umberto Eco ieri a Torino, dopo aver ricevuto una laurea honoris causa in Comunicazione e cultura dei media.

Eco coglie un problema, invero, noto a tutti. Non è una gran scoperta, infatti, che legioni di imbecilli riescano a raggiungerci coi loro pensieri più assurdi. Pensieri talmente assurdi da poter essere difficilmente confutati. Cosa dire infatti a uno che dice che dietro la strage di Charlie Hebdo ci sono la Cia e il Mossad, o che il cancro si cura con acqua e limone, o che non siamo mai stati sulla Luna?

In questa rubrica spesso parliamo di loro, di queste legioni di imbecilli, dei complottari e dei bufalari. Ed è un peccato perché, per chi scrive, internet è una cosa meravigliosa o, per dirla con Rita Levi Montalcini, «la più grande invenzione del ‘900».

Il problema non è internet, ma l’esistenza degli imbecilli, che però, grazie a Dio e alla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, hanno anch’essi diritto di esistere. (Dico anch’essi, ma potrei dire “anche noi”: non mi metto automaticamente dalla parte dei non-imbecilli.) Chi ha diritto a esistere ha anche diritto ad esprimersi.

Manca in Italia una cultura della libertà d’espressione, che non si limita a permettere agli imbecilli (come agli altri) di esprimersi, ma che fornisca gli anticorpi necessari per combattere le castronerie e che, allo stesso tempo, determini una crescita del dibattito. In Italia se scrivi una recensione negativa su una mia opera, posso citarti per danni ed avere buone probabilità di vincere, oltre alla certezza di spingerti tra i meccanismi della giustizia: una pena certa! E qual è il livello del dibattito culturale in Italia, rispetto a paesi più liberi?

Il problema è italiano e i social network non ci permettono di ignorarlo.

«Prima parlavano solo al bar» e tu potevi illuderti che non esistessero. Il confinamento dell’ignoranza in un ghetto alcolico è moralmente sbagliato oltre che non funzionale nel lungo periodo. Andy Capp prima o poi torna a casa dalla moglie. E l’ultrà violento non vive 24 ore su 24 nella curva del “suo” stadio. Prima o poi uscirà di lì ed è bene che la società sia preparata prima che esca, o che — meglio ancora — eviti che ci sia il violento e l’ignorante.

I social network fanno semplicemente in modo che non possiamo dire di non sapere: non vale solo per le legioni di imbecilli, ma anche per le informazioni che i media tradizionali non riescono a farci pervenire o che lo fanno solo dopo che su Twitter si è sparsa la voce.

Alla base della critica di Eco però c’è una differenza culturale di tipo confessionale che risale al Cinquecento, quando ci si pose la domanda se si poteva mettere la Bibbia in mano agli imbecilli. La Riforma stabilì che la libertà era più importante delle preoccupazioni, mentre la Controriforma decise che la libertà non era un valore da promuovere e difendere ad ogni costo, anzi, i “libertini” erano da perseguitare. Le preoccupazioni sono serie, per carità: mettete la Bibbia in mano a un razzista o a un omofobo e vedrete come la userà probabilmente per la sua visione criminale del mondo. La Riforma non solo preferisce correre il rischio che questo accada, ma crede anche che lo Spirito possa illuminare le menti più ottenebrate. Il razzista e l’omofobo con la Bibbia in mano potrebbero convertirsi a Cristo, senza quella libertà non avrebbero questa opportunità.

Ecco perché Giovanni Calvino fondò la scuola per tutti, mentre Ignazio di Loyola il collegio per pochi: il problema non è la libertà, ma l’educazione e l’accesso alla cultura.

Altro errore di Umberto Eco è credere che ci siano gli imbecilli da una parte e i savi dall’altra — probabilmente non ci crede, ma è quello che si evince dalla sua esternazione. Anche qui si manifesta la differenza culturale tra Riforma e Controriforma: l’essere umano è «allo stesso tempo giusto e peccatore», diceva Lutero. I social network hanno, infatti, la capacità di far parlare non gli imbecilli, ma l’imbecille che dimora in te. Il tweet recente del senatore Stefano Esposito — «Esultare per la sconfitta della Juventus è come essere impotenti ed esultare se qualcuno fa godere la tua donna», riferendosi alla finale di Champions League — è uno degli esempi di outing dell’imbecillità ad opera del medium, cui è difficile rimediare dicendo «Sono juventino, non sessista».

Forse il buon Umberto Eco teme il medium. Non a caso non ha un account Facebook né Twitter. Probabilmente sa benissimo che in Twitter veritas e, come non si va al bar a bere e straparlare, un po’ di continenza sui social network può essere salutare: su questo siamo d’accordo.

Foto di greyweed via Flickr | Licenza CC BY 2.0