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Roger Walton: l’ecumenismo un dato imprescindibile

Il pastore Roger Walton, presidente della Conferenza metodista britannica, è tra gli esponenti ecclesiastici giunti a Roma per prendere parte alle celebrazioni dei 50 anni del Centro anglicano di Roma, previsti per la giornata di oggi, mercoledì 5 ottobre. Walton, accompagnato da Tim Macquiban, pastore della Chiesa metodista di lingua inglese di Ponte Sant’Angelo a Roma e direttore dell’Ufficio ecumenico metodista di Roma, ha colto l’occasione di questa sua visita per incontrare la presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi), pastora Mirella Manocchio. Lo abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto alcune domande.

Qual è il programma di questa sua breve visita a Roma?

«Sono venuto a Roma per tre ragioni specifiche. Innanzitutto per i 60 anni della fondazione della chiesa metodista di lingua inglese di Ponte Sant’Angelo, una comunità che fa parte dell’ordinamento valdese e metodista italiano ma i cui pastori provengono dalla chiesa metodista britannica. Poi sono qui per partecipare alle celebrazioni per i 50 anni del Centro anglicano di Roma. Infine, per visitare l’Ufficio ecumenico metodista di Roma (MEOR), inaugurato la scorsa primavera. Da quest’ultimo punto di vista, i 50 anni di attività del Centro anglicano possono certamente essere di ispirazione per il lavoro del MEOR, anche se ritengo che esistano nel lavoro ecumenico delle specifiche particolarità metodiste che il MEOR saprà far emergere. Anche per il mondo metodista internazionale, che conta nei cinque continenti circa 82 milioni di persone, avere un punto di riferimento a Roma è significativo sia per le relazioni con la chiesa cattolica, sia per esprimere un legame di fraternità più profonda con le chiese protestanti in Italia».

Lei ha incontrato la pastora Mirella Manocchio, presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI). Di cosa avete parlato?

«Mi ha molto interessato sapere qualcosa di più del Patto di integrazione che lega le chiese metodiste e le chiese valdesi in Italia, un patto che permette alle due denominazioni di costituire un’unica chiesa mantenendo però la loro identità e visibilità ecumenica. Mi sembra un bel modello di ecumenismo che può essere d’esempio altrove, certamente in Gran Bretagna. Abbiamo quindi parlato della crisi dei rifugiati e anche in questo ambito sono rimasto molto colpito da come metodisti e valdesi, insieme alla Federazione della chiese evangeliche in Italia (FCEI), abbiano saputo offrire delle risposte efficaci, come i corridoi umanitari, che possono essere un modello in tutta Europa. In Gran Bretagna, al momento, ci troviamo in una situazione particolare: abbiamo votato per l’uscita dall’Unione europea e come chiese ci sentiamo apertamente chiamate a definire quale tipo di nazione vogliamo essere, soprattutto nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Conoscere l’esperienza di chiese sorelle su questo tema è per noi molto importante. Il terzo argomento che abbiamo trattato riguarda le chiese e la sfida della diversità. Le nostre comunità diventano sempre più multiculturali e quindi devono strutturarsi in modo inclusivo. La sfida è di trovare in questa diversità un’occasione di arricchimento e non di confusione. In questo le chiese possono essere un modello».

In Gran Bretagna la sua chiesa è impegnata da anni in un dialogo ecumenico molto stretto con la Chiesa d’Inghilterra. A che punto è questo dialogo?

«Vorrei innanzitutto dire che oggi, l’ecumenismo, in Italia o in Gran Bretagna, non è più un’opzione, ma un dato imprescindibile della vita delle chiese: si può solo decidere di andare avanti. Per quel che riguarda la chiesa metodista britannica, il dialogo più significativo è con la Chiesa d’Inghilterra con la quale abbiamo sottoscritto un Patto (Covenant) per una sempre maggiore unità nella missione e nel riconoscimento reciproco. La collaborazione nella missione, in realtà, è già molto avanzata perché il lavoro comune in molti campi prescinde dall’accordo che può esserci su questioni dottrinali. In ogni caso, il Covenant ci ha portati a sviluppi importanti e decisivi. Alcuni anni fa, noi metodisti abbiamo detto ai nostri fratelli anglicani che avremmo potuto proseguire più spediti sul cammino dell’unità se la Chiesa d’Inghilterra avesse permesso alle donne di poter accedere a qualunque ministero della chiesa, al pari degli uomini. Ebbene, introducendo l’episcopato femminile, gli anglicani l’hanno fatto! Da parte loro gli anglicani ci hanno sempre invitato a trovare un modo per incorporare nella nostra ecclesiologia il ministero episcopale. Non abbiamo ancora trovato una soluzione, ma ci stiamo lavorando! Ci sono diverse proposte al vaglio, per esempio, considerare la presidenza della Conferenza metodista come un ministero vescovile. In ogni caso le Commissioni Fede e costituzione delle nostre due chiese stanno discutendo e in un paio d’anni potrebbe emergere una proposta concreta che permetterebbe il riconoscimento reciproco dei ministeri e quindi l’interscambiabilità dei ministri. Questo non significa che le due chiese debbano costituirsi in una nuova ed unica struttura. Non è questa la via intrapresa dalle chiese protestanti che promuovono l’unità nella diversità. Per questo il patto d’integrazione tra metodisti e valdesi in Italia ci interessa molto».