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Un percorso per la messa al bando delle armi nucleari, ma l’Italia dice no

Giovedì 27 ottobre 2016 il Primo comitato sul disarmo dell’Assemblea delle Nazioni Unite di New York ha deciso con il proprio voto di avviare un percorso verso un trattato di messa al bando delle armi nucleari per il 2017. I Paesi favorevoli sono stati 123, una larga maggioranza che ha voluto mandare un messaggio politico per far ripartire un cammino fermo ormai da oltre vent’anni con un tentativo radicale: vietare completamente le armi nucleari in tutto il mondo, superando quindi i più conservativi trattati di non proliferazione, che avevano segnato la stagione della Guerra Fredda.

Il testo, redatto da Austria, Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sudafrica e supportato dalle firme di 57 Paesi, è arrivato poche ore dopo l’adozione da parte del Parlamento europeo di una propria risoluzione su questo tema, di fatto un invito verso tutti gli Stati membri dell’Unione a partecipare in modo costruttivo ai negoziati del prossimo anno.

Tuttavia, tra i firmatari e tra i voti a favore, manca all’appello l’Italia, che ha deciso di schierarsi contro la risoluzione e di sostenere quindi la posizione degli Stati Uniti e di tutte le altre potenze nucleari. Eppure, un Paese come il nostro, che non è una potenza nucleare, avrebbe dovuto sostenere questa iniziativa. Secondo Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Disarmo, «sarebbe stato importante aderire perché questa risoluzione è il primo passo verso un vero trattato, ed è necessaria per avviare un percorso che altrimenti non partirebbe nemmeno».

Qual è l’affermazione forte alle spalle di questa risoluzione?

«Si è preso il testimone dalla società civile internazionale, che negli anni scorsi aveva lanciato la cosiddetta “iniziativa umanitaria”, nella quale si affermava che le armi nucleari sono pericolose per tutta l’umanità, in generale: sono una questione di vita o di morte per l’umanità. Ecco, i Paesi che sostengono la risoluzione sono ripartiti da qui».

E quindi perché l’Italia ha votato contro?

«Diciamo subito che non è una sorpresa: l’Italiaaveva affermato la propria contrarietà anche durante il percorso di preparazione. È una scelta meditata da parte del nostro Paese, anche se non siamo una potenza nucleare e all’inizio degli anni Settanta avevamo sottoscritto il Tnp, il Trattato di non proliferazione, che prevede già un progressivo smantellamento degli arsenali nucleari.

Purtroppo l’Italia, che ospita delle bombe nucleari della Nato ed è sotto l’ombrello nucleare della Nato, ha votato contro, proprio come hanno fatto anche i suoi alleati».

Al di là di queste logiche di appartenenza ci sono motivazioni più pragmatiche e logiche?

«Sì, ma per capirlo bisogna partire dalla logica che sta alle spalle di questa iniziativa: si pensa di riprodurre il meccanismo già usato per la messa al bando delle bombe a grappolo e delle mine antipersona, cioè iniziare con un gruppo di Paesi volenterosi e piano piano allargare l’adesione, anche sfruttando un “effetto vergogna”, cioè di Paesi che si vergognano di fronte al consesso internazionale. Per il nucleare, però, dobbiamo riconoscere che la situazione è un po’ diversa, perché soltanto pochi Paesi le hanno ufficialmente e pochissimi in più le hanno solo ufficiosamente: in totale sono solo nove i governi che dispongono in qualche modo dell’ordigno nucleare. Ecco, il ragionamento dell’Italia è che, siccome non si può vietare qualcosa che hanno solo in pochi senza coinvolgere quei pochi che ce l’hanno, allora si rischia di ottenere l’effetto contrario, perché chi ha questi armamenti a quel punto non li vuole smantellare perché non è disposta a rinunciare alla concentrazione di potere».

E questo è condivisibile?

«Diciamo che in un certo senso può essere razionale. Il fatto, però, è che l’alternativa che l’Italia propone con gli alleati della Nato è quella di continuare un percorso che negli ultimi trent’anni è rimasto in stallo, non ha visto applicazione delle parti del Tnp che prevedevano uno smantellamento. A un certo punto gli altri Paesi hanno cominciato a chiedersi perché fosse necessario mantenere in piedi un accordo se nessuno lo stava mettendo in pratica, e allora hanno proposto di mettere chiaramente fuorilegge le armi nucleari. Il tentativo è quello di provocare uno choc, dare una spinta, anche riconoscendo che si tratti di un azzardo: magari non sarà questo il percorso che porterà al disarmo nucleare, si dovranno tentare altre strade con maggiore consenso, ma sicuramente oggi come oggi bisognava spezzare questo stallo, e dire chiaramente che le armi nucleari vanno messe fuorilegge perché sono pericolose per l’umanità è un passo in avanti».

Noi speriamo che già a partire dall’assemblea, dal voto in assemblea generale che dovrà confermare questo voto in primo comitato l’Italia possa cambiare idea e proprio valorizzare la sua posizione di parte dell’alleanza e di questo ombrello nucleare per cercare di convincere le potenze di riferimento a modificare la loro scelta e ad andare davvero verso un disarmo che smantelli le oltre 15.000 testate che ancora oggi sono presenti nel globo.

Visto il momento non possiamo nemmeno aspettarci che questo partisse dalle potenze nucleari, oggi in blocchi molto polarizzati. Comunque il percorso a questo punto è stato messo in piedi, non c’era un diritto di veto da parte dei membri permanenti del consiglio di sicurezza, giusto?

Oltre all’Italia e agli Stati Uniti ci sono state altre defezioni significative?

«Sì, anche se sarà più importante vedere come si voterà in Assemblea generale, dove il voto andrà confermato. Colpisce però l’opposizione del Giappone, che inizialmente aveva supportato l’iniziativa umanitaria negli anni passati. Tokyo è centrale anche dal punto di vista simbolico in questo percorso, perché è l’unico Paese che la bomba nucleare l’ha sperimentata sulla propria pelle. Gli hibakusha, i sopravvissuti dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, continuano a dire di voler avviare questo percorso, e infatti il Giappone inizialmente aveva votato a favore, ma questa volta ha votato contro, annunciando però che comunque parteciperà alla conferenza».

Possiamo sperare che l’Italia faccia lo stesso?

«Sì, è il nostro obiettivo minimo: fare in modo che l’Italia, anche se dovesse mantenere il proprio voto negativo in sede di Assemblea generale fra pochi giorni, vada alla conferenza, partecipi e porti il proprio contributo, che in passato è stato davvero fondamentale per costruire percorsi di disarmo. L’Italia è importantissima per via della posizione “a metà”, membro importante e fedele della Nato ma anche storicamente critica verso alcuni approcci alla guerra. Ecco, è un po’ come quando hai un amico che sbaglia: è più facile che questo amico ti ascolti quando glielo fai notare, piuttosto che se glielo dica qualcuno che gli è un po’ nemico. È quello che l’Italia potrebbe fare nei confronti degli Stati Uniti, della Francia e della Gran Bretagna, che sono le due potenze europee che dispongono della bomba nucleare e che hanno votato contro».

Si potrebbe obiettare che il valore della deterrenza sia ancora grande, no?

«Non esattamente. Teniamo conto che, non è un segreto, delle 15.000 testate complessive presenti nel mondo e delle 6.000 degli Stati Uniti, soltanto poche centinaia hanno veramente una valenza militare e verrebbero usate in un conflitto. Lo hanno detto anche alcuni studi di ex generali del Pentagono: le altre servono come status, ma nell’era della guerra asimmetrica la deterrenza non ha più senso, e quindi non sono nient’altro che dei totem. Le stesse armi nucleari presenti sul suolo italiano non potrebbero essere utilizzate immediatamente in un conflitto, e allora perché tenerle? È una follia. Tra l’altro il disarmo nucleare avrebbe anche un vantaggio enorme dal punto di vista delle risorse messe a disposizione, perché le armi nucleari sono le armi più costose per il loro mantenimento, stoccaggio e protezione».

Ci saranno operazioni di pressione per cercare di far cambiare la posizione italiana?

«Cercheremo di rilanciare la nostra azione di advocacy, cioè dialogando direttamente coi funzionari del governo italiano. Ecco, devo dire che, nonostante una diversità di posizione che si è esplicitata col voto, i nostri interlocutori hanno sempre dimostrato grande disponbilità nel parlare e nel confrontarsi con noi. Da questo punto di vista apprezziamo il fatto che il governo abbia voluto discutere, pur votando diversamente. L’intenzione, come detto, è quella di premere per la partecipazione alle conferenze che sono già state definite come intervallo, la prima ci sarà a marzo, anche perché siamo sicuri che la maggioranza degli italiani siano d’accordo con noi nel sostenere la necessità di un’Italia protagonista positiva su temi come questo».

Immagine: via flickr.com