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Potete uscire dall’ombra

Qualche sera fa il presidente USA Obama ha presentato a milioni di cittadini il decreto immigrazione che entrerà in vigore, senza bisogno del voto del congresso, e cambierà la vita a circa 5 milioni di stranieri che risiedono illegalmente sul territorio statunitense. Mentre il nostro paese vive da anni in una situazione drammatica fatta di immigrati che affogano nel mare o riempiono le carceri; mentre la paura dello straniero e dello zingaro riempie le piazze e le strade delle borgate romane e le città del nord e ad ogni tornata elettorale la questione stranieri viene messa accanto a quella della sicurezza, è utile posare lo sguardo su un discorso di quindici minuti che riesce a tenere insieme il buon senso, alcune proposte pratiche e un’idea di stato che hanno da dire qualcosa anche a noi. Negli ultimi 6 anni il numero degli stranieri che hanno varcato il confine con il Messico è diminuito del’80% e oggi il numero di stranieri che arriva negli Usa è il più basso dagli anni’70.

Obama si è quindi rivolto al paese impegnandosi a: non diminuire l’impegno economico sui controlli alle frontiere e a rendere più veloci e più facili le procedure per gli stranieri altamente qualificati, gli imprenditori e gli studenti per regolarizzare la loro posizione e rimanere a contribuire all’economia Usa. Infine mettere in atto delle misure per regolarizzare la posizione di circa 5 milioni di stranieri che oggi vivono illegalmente negli Stati Uniti. La questione tocca le corde più vive di un paese che è nato dall’immigrazione e che di immigrazione è vissuto. Ma che oggi, come qui, ha le carceri piene di stranieri, e che ritiene che le leggi vadano rispettate e che se uno straniero arriva negli stati uniti deve rispettare le regole. Obama lo sa. E infatti non propone un amnistia di massa ma dice che tutti coloro che vivono negli USA da almeno 5 anni, o hanno dei figli ( che spesso sono nati lì e sono già cittadini Usa), potranno uscire dall’ombra e ricevere un permesso di soggiorno e di lavoro per 3 anni rinnovabili che impedisca di essere da un giorno all’altro rimpatriati. Si tratta in effetti di una misura che impedisce di vivere nell’incubo di poter essere rispediti nel proprio paese per un motivo qualsiasi.

A chi lo accusa di fare un’amnistia generale Obama risponde che la questione è più grande e riguarda ciò che noi siamo come nazione e chi volgiamo essere per le prossime generazioni. Siamo una nazione che tollera l’ipocrisia di un sistema dove il lavoratori che raccolgono frutta e costruiscono i nostri letti non avranno mai una possibilità di mettersi a posto con la legge ? O siamo una nazione che gli dà un chance di pagare l’ammenda , prendersi le loro responsabilità e dare ai loro figli un futuro migliore? Siamo una nazione che accetta la crudeltà di bambini strappati dalla braccia dei loro genitori o siamo una nazione che dà valore alle famiglie e lavora insieme con loro per tenerli uniti ? Siamo una nazione che educa il meglio del mondo nelle nostre università solo per mandarlo indietro a casa per creare business in nazioni che competono contro di noi, o siamo una nazione che li incoraggia a restare a creare lavoro e business qui in America.

La sicurezza, le possibilità economiche legate alla regolarizzazione di milioni di persone, l’allargamento della fascia dei diritti e il rispetto delle leggi sono alla base del tentativo di convincere soprattutto la destra americana, scegliendo i temi a lei cari, che questo decreto è nel pieno spirito della tradizione del paese. Un tradizione che si rifà come Obama non manca di sottolineare ad un’idea di nazione ben diversa da quella che di solita abbiamo in mente. Non la terra, non l’appartenenza di sangue e quindi di nascita, bensì l’idea, molto biblica di patto: Le Scritture ci dicono che noi non dobbiamo opprimere lo straniero, poiché noi conosciamo il cuore dello straniero . Siamo stati stranieri anche noi una volta. Noi, americani, siamo e siamo sempre stati una nazione di immigranti, siamo stati stranieri anche noi una volta. E se i nostri predecessori sono stati stranieri che hanno attraversato l’Atlantico, il Pacifico o il Rio Grande, noi siamo qui solo perché questa nazione li ha accolti e gli ha insegnato che essere Americani è qualcosa di più che il colore della nostra pelle, o quello che è il nostro cognome o a chi rivolgiamo le nostre preghiere. Ciò che ci rende Americani il nostro impegno condiviso verso un ideale: che tutti noi siamo stati creati uguali e tutti noi abbiamo la possibilità di fare delle nostre vite ciò che vogliamo. Questa è la nazione che i nostri genitori, i nostri nonni e le generazioni prima di noi hanno costruito prima di noi. Questa è il lascito che noi dobbiamo lasciare per coloro che ancora devono arrivare. Dio vi benedica e benedica questa nazione che noi amiamo.

Il diritto a perseguire la propria felicità e il riconoscimento che siamo tutte creature di Dio. Questi i due fondamenti di un patto di cittadinanza che cerca di superare contraddizioni e le ineguaglianze che noi cominciamo appena oggi a dovere affrontare. Il riconoscimento che ciascuno di noi è stato, in un certo tempo, straniero in una terra che non appartiene a noi ma a Dio e la responsabilità di lasciare alle generazioni future una terra dove questa accoglienza sia ancora possibile. Questo il senso del rapporto di una nazione con il proprio essere tutte creature di Dio. Non sempre la politica estera USA ha seguito gli stessi alti ideali, ma forse oggi possiamo guardare a questo discorso come ad un piccolo capolavoro di diplomazia politica, che non rinuncia a convincere la parte avversa usando i suoi argomenti, ma allo stesso tempo propone la propria visione condivisa di una nazione che si comprende come portatrice di una tradizione più alta: che l’umanità è stata creata tutta uguale e quindi in fondo con il diritto ad avere le stesse possibilità. Aspettando con fiducia che qualcuno abbia la capacità di dire qualcosa di simile agli abitanti di Tor Sapienza e a coloro che hanno visto morire annegati nel mare di Sicilia i propri figli. 

Foto: “US one dollar bill, reverse, series 2009“. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons.