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Questa scuola è cristiana!

Cominciavo già a preoccuparmi che non fosse ancora scoppiata una querelle circa il presepio e il suo valore divisivo o identitario. Niente paura! Sono stato prontamente accontentato. D’altronde, come non c’è Natale senza luminarie o panettoni, così, da un po’ di anni a questa parte, non c’è Natale senza una bella polemica tra presepisti e iconoclasti. Questa volta è toccato a un Istituto comprensivo di Bergamo. Ma la componente orobica è un mero accidente, visto che la disputa è geograficamente trasversale.

La liturgia, infatti, è sempre la stessa (altrimenti non sarebbe una liturgia): qualche genitore che protesta, articoli di giornale, servizi televisivi, interrogazioni parlamentari, profluvi di commenti. Insomma, parole in libertà, quasi mai vigilata! Anche gli officianti indossano sempre gli stessi paramenti: il becerume salviniano, ormai sempre più cosparso della virile salsa dei casa-poundiani, il buonismo piddino, condito di spezie francescane (nel senso di papa Francesco), il bealtrismo di chi invita a guardare oltre (i problemi sono altri!). Di conseguenza, il risultato non prevede sorprese: le ragioni degli uni e degli altri finiscono per elidersi a vicenda e per sprofondare nell’inconcludenza. Si rinfoderino gli spadoni, in attesa, ovviamente, della prossima battaglia ideologica.

Un minimo di buon senso dovrebbe spingere a riconoscere che il problema non è «presepio sì o presepio no» e che la diatriba presepistica è il sintomo di una malattia: l’ignoranza religiosa (peraltro in buona compagnia!) va di pari passo con il bisogno irrazionale di affidare la propria identità a simboli di cui non si sa più decifrare la portata, la storia, la rilevanza. Situazione cui sembra essere caduto anche il dirigente scolastico, il quale, di fronte alla levata di scudi, si è prontamente fatto scudo della volontà della maggioranza: «Se in una classe tutte le insegnanti e le famiglie vogliono fare il presepe, lo potranno fare». Lo stesso Dirigente che, con un distinguo degno di miglior causa, alla domanda se allora intendesse togliere anche i crocifissi, non ha trovato di meglio che rispondere: «Quello resta appeso ai muri, perché se lo tolgo se ne fa una questione di Stato e ho cose più importanti di cui occuparmi». Evidentemente, la presenza del crocifisso nella aule scolastiche non è così importante.

Il clima arroventato impedisce di rendersi conto che un cristianesimo sempre più secolarizzato e sempre meno laico è costretto a farsi forte di simboli usati come succedanei tranquillizzanti, gingilli pseudoreligiosi con cui trastullarsi nella retorica natalizia. Si usa il bambinello come arma di scontro perché si è ormai incapaci di incontrarlo in una fede autentica, con il presepio che diventa per gli uni il simbolo dei profughi e per gli altri il simbolo delle radici etniche.

C’è infine l’aspetto didattico. In qualità di insegnante, so benissimo che una scelta didattica non è di per sé aliena da intenti ideologici, da qualsiasi parte essi vengano. Spetta quindi ai docenti e alla loro responsabilità (alla loro etica) confrontarsi collegialmente per elaborare dei percorsi didattici che aiutino alunni e alunne a leggere in maniera critica e inclusiva le differenze. Se questo passa anche attraverso l’allestimento di un presepio, ben venga. Ma sempre nella consapevolezza che la scuola non può delegare ai professionisti del senso (e peggio ancora del sacro!) la propria funzione educativa, non può rinunciare allo spirito critico, neppure sul proprio operato (l’autonomia non può esser scambiata con l’autoreferenzialità). Una scuola che non ha altra verità se non la consapevolezza che la verità si raggiunge attraverso strade diverse, tortuose, spesso contraddittorie, e che il raggiungimento della verità è una tappa sempre provvisoria.

Foto: “Presepe2“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikipedia.