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Allocchi e colibrì

Qualche giorno fa Greenpeace l’ha fatta grossa. Alcuni suoi attivisti sono entrati all’interno di uno dei più grandi e antichi artefatti dell’umanità — le linee di Nazca in Perù — per un’azione dimostrativa. Nell’area tra il becco e l’ala sinistra della famosa figura detta “Colibrì”, con lettere di stoffa gialla hanno composto la scritta “Time for Change: The Future is Renewable”, grande come una piscina olimpionica. L’occasione era una conferenza internazionale sul cambiamento climatico in corso nella capitale Lima.

Nel sito di Nazca — grande quanto i comuni di Torino, Milano e Bologna messi insieme — si trovano circa 800 disegni detti geoglifi, di cui una ventina giganteschi. I geoglifi sono composizioni fatte spostando le pietre contenenti ossidi di ferro per creare un contrasto con gli altri sassi. Non è solo un’operazione evidentemente complessa: le linee sono rimaste intatte pur essendo state composte intorno a 1500 anni fa dall’antica popolazione Nazca. Questo perché l’area non è soggetta a erosione: non c’è vento né pioggia.

È un luogo unico sulla terra. Le ingegnose popolazioni che hanno composto i geoglifi interpretarono le incredibili condizioni climatiche — che rimandano alla luna — come un segno della sacralità del luogo.

L’arrivo dei colonizzatori europei non intaccò l’area: l’aridità della zona non suscitava interesse nei conquistadores. I primi occidentali ad accorgersi dei disegni furono gli aviatori negli anni 1930. Inoltre è inutile studiare da vicino linee che acquisiscono un senso solo se viste da centinaia di metri, se non da chilometri. Nessuno può avvicinarsi ai disegni, per evitare di compromettere l’area.

Evidentemente gli attivisti di Greenpeace non si sono preoccupati della sacralità laica del luogo e hanno compiuto un vero e proprio atto di vandalismo: è infatti possibile che non si possa ripristinare il terreno dove hanno camminato.

Greenpeace è famosa per le sue spettacolari azioni dimostrative come assalti pirateschi a baleniere e petroliere e devastazioni di campi di Ogm, anche se l’organizzazione si dichiara paradossalmente non violenta.

Nel caso della vandalizzazione di Nazca, l’organizzazione si è mostrata più imbecille di un turista ignorante: Greenpeace ha poi chiesto scusa, ma è come se uno scrivesse sul Colosseo e poi dicesse «Perdonatemi, non avevo visto che era una cosa importante».

Ma ancor più triste è l’assoluta banalità della frase: «È tempo di cambiare: il futuro è rinnovabile».

Sarebbe bastato un post su Facebook: avrebbe fatto meno danni e sarebbe piaciuto a qualche centinaio di internauti.

Foto via Facebook