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L’anno di Rahyaneh Jabbari

Digitando, in Google, il nome di Rahyaneh Jabbari, sembra che l’articolo più recente risalga al 31 ottobre, sei giorni dopo la sua esecuzione. Il regime iraniano ci contava: ci sarebbero state un po’ di proteste degli “infedeli”, gli ambasciatori sparsi per il mondo avrebbero ricevuto qualche lettera indignata, poi il mondo avrebbe dimenticato. Oltretutto, adesso l’Iran è quasi alleato del “mondo libero”, contro i tagliatori di teste del cosiddetto califfato.

Infatti, temo che non sia superfluo riassumere la sua storia anche se, per la verità, un piccolo monumento telematico è rimasto, una voce di Wikipedia. Nel 2007, a 19 anni, Rahyaneh ha ucciso, in una colluttazione, un uomo che voleva stuprarla. E’ stata condannata a morte per omicidio premeditato: l’aggravante è stata motivata con l’argomento che l’arma impiegata, un coltello, era stata acquistata due giorni prima. Dai documenti emerge che la ragazza aveva anche altre colpe, che le sono state brutalmente rinfacciate durante gli interrogatori e la detenzione: ad esempio aveva le unghie laccate, non era una per bene. Il processo è stato indegno, la detenzione è durata quasi sette anni. Avrebbe dovuto essere impiccata nell’aprile 2014, poi ci sono stati vari rinvii, anche a motivo delle campagne internazionali. La famiglia dell’ucciso non ha concesso il “perdono del sangue”, condizione necessaria per la grazia. Alcuni media hanno riferito che Rahyaneh non avrebbe soddisfatto la condizione imposta, ammettere cioè che non ci sarebbe stato tentativo di stupro. I ripetuti rinvii avevano acceso, in ottobre, qualche speranza, che è stata gelata il 25 ottobre. Mi ricorderò per un pezzo la mail di una persona cara, che avevo coinvolto nella raccolta di firme: “L’hanno impiccata”. Avevo appena visto anch’io la notizia, sul sito di un quotidiano.

Rahyaneh aveva indirizzato alla madre una sorta di testamento spirituale, che può facilmente essere rintracciato nella rete. In esso, tra l’altro, chiede che i suoi organi vengano donati per i trapianti: non si sa se la richiesta sia stata accolta. Racconta anche degli insulti subiti, degli schiaffi, di undici giorni in isolamento per aver protestato rasandosi i capelli e perdendo così “il mio ultimo segno di bellezza”. “Ho capito – prosegue – che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce”.

Nel 2014, naturalmente, sono avvenute innumerevoli altre tragedie. La mail che ho menzionato aggiungeva: “Non si può nemmeno dire che lei avesse più diritto di altri al mio inutile cordoglio. Però oggi è un brutto giorno”. Infatti. Solo Dio ha contato le esecuzioni, le guerre, le stragi, gli attentati del 2014, aggiungendoli all’infinita lista di dolore che attraversa la storia dell’umanità. L’assassinio giudiziario di Rahyaneh Jabbari, tuttavia, detiene una carica simbolica particolare: il potere politico, quello religioso, quello maschile, raggrumati, in modo così tipico da provocare un brivido, in un efficace progetto di soppressione, come dice il testamento, della bellezza e della voglia di vivere. La tesi dell’ Idiota di Dostoevskij, spesso citata, secondo la quale “la bellezza salverà il mondo”, mi ha sempre lasciato un po’ perplesso. E’ vero, però, che la bellezza ha qualcosa di sovversivo, soprattutto nei confronti dei tre poteri, così volentieri alleati, che hanno ucciso questa donna, e tante altre. Hanno ucciso anche uomini non conformi, parecchi dei quali innocenti. Me ne viene in mente, in particolare, uno, che non era al centro della fede di Rahyaneh Jabbari (era una musulmana convinta, da quanto emerge dal suo scritto), ma della quale ella ha condiviso la sorte. Non credo che la bellezza salverà il mondo, ma certo essa dà fastidio a chi vuole che il mondo resti com’è, perché permette il baluginare di qualcosa di diverso. Persino mediante le unghie laccate.

Per questo, almeno per me, il 2014 resterà l’anno di Rahyaneh Jabbari. Un giorno, forse, anche l’Iran cambierà, a Rahyaneh saranno intitolate scuole, come da noi si fa con Sophie Scholl o Edith Stein, il “perdono del sangue” sarà abolito. Questo non restituirà la vita non vissuta di una giovane donna. Nel suo testamento, ella si appella al giudizio di Dio. Nel mondo secolarizzato nel quale vivo (e che, peraltro, mi sembra assai meno barbaro di quello religioso che ha ucciso Rahyaneh), e che è anche dentro di me, questo appello suggerisce inevitabilmente, anche in un pastore della chiesa, un amaro e scettico sarcasmo. Racchiude anche, però, ogni possibile senso della parola “speranza”.

Foto: “2014-10-05 International Committee Against Executions I.C.A.E, save Reyhaneh Jabbari, 021 Hannover Bahnhofstraße Ernst-August-Platz” by Foto: Bernd SchwabeOwn work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.