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Ridere è una cosa seria

Nel massacro parigino di Charlie Hebdo, tra le tante vittime, è stata colpita anche la democrazia con il suo diritto alla satira, a poter deridere il potere, ogni potere, anche quello religioso. Qualcuno, in nome di un presunto Dio, ha ucciso un simbolo della libertà, giornalisti inermi, armati solo di una matita.

Ma perché l’accostamento tra satira e religione fa così paura?

Perché denuncia e mette in discussione qualcosa che, nell’immaginario collettivo, è ritenuto intoccabile, ovvero il sacro.

Un proverbio recita: «scherza con i fanti, ma lascia stare i santi». Tu puoi addirittura scherzare con l’esercito, il potere costituito, ma non con il sacro, percepito come separato da ciò che è discutibile, opinabile, considerato come assoluto, sciolto da ogni possibilità di confronto.

Questa visione della fede genera atteggiamenti intolleranti verso tutti coloro che, invece, osano pensare che anche il sacro possa essere sottoposto alla critica, sia quella seria, tragica, di chi, nella disperazione, sente il cielo chiuso, come quella più irriverente, ironica, che osa prendere le distanze da un’immagine di Dio troppo granitica o obsoleta.

Il divieto di nominare Dio o farsene immagina non è un interdetto all’ironia e alla satira, o alla critica in generale; piuttosto, è un monito contro gli usi impropri del divino. Anzi, è proprio quel divieto che ci spinge a valorizzare la satira in quanto anti-idolatrica, perché capace di smontare l’immagine fissa che ci facciamo di Dio.

L’’idolo è la contraffazione di Dio. La critica ironica serve a prendere consapevolezza che il posto di Dio lo può prendere l’idolo. E l’idolo non è solo il dio degli altri, è soprattutto il proprio, come nella scena del vitello d’oro e delle altre false rappresentazioni della propria divinità. Questa riflessione sull’idolatria, che attraversa tutta la Scrittura fino alle ultime pagine (»figlioletti, guardatevi dagli idoli» I Giov. 5,21), trova nuovo vigore nel nostro contesto. Dovremmo tornare a riflettere sul senso profondo dell’idolatria, che non è questione di statue – come, qualche volta, banalizza la voce protestante; piuttosto, è la chiamata ad assumersi la fatica di fare i conti con un Dio sempre a rischio di essere sostituito. Insomma, l’immagine fissa del sacro, sottratto ad ogni critica, è messa in radicale discussione dal Dio biblico. Egli è santo, separato; e tuttavia, «Dio con noi, Dio nella storia, fino alla forma più radicale di contaminazione: l’incarnazione.

Nella Bibbia si discute con Dio, e Questi non si sottrae alla critica. Giobbe arriva fino a denunciarlo per vederlo seduto sul banco degli imputati. Anche nella la tradizione dei salmi, la preghiera del credente pio, Dio viene criticato quando non sembra agire e rimane lontano da chi lo invoca.

Non solo la critica seria, ma anche la satira, nella Bibbia, ha diritto di cittadinanza: ad iniziare da quella graffiante dei profeti, con la loro descrizione ironica e vignettistica degli idoli: «hanno occhi e non vedono..»; «l’uomo prende un pezzo di legno lo scolpisce e lo chiama dio».

Le vignette, proprio come queste descrizioni dei profeti, sono sarcastiche perché con pochi tratti devono pungere il cuore, esasperando alcuni aspetti, deformando la realtà, al fine di mettere in evidenza una verità dimenticata. Mettono una maschera proprio per smascherare il potere.

Un intero libro della Bibbia ricorre a questa tecnica e ci regala una descrizione satirica dei potenti: il libro di Ester. I personaggi sono caricature; il potere, apparentemente forte più che mai, è rappresentato come un palazzo di cartone, destinato a crollare grazie all’astuzia di una donna. Tutto è eccessivo, esagerato: i giardini, i banchetti, le leggi e i personaggi, proprio come a carnevale. Non è un caso che, nella liturgia ebraica, il libro di Ester viene letto a Purim, per fare memoria del ribaltamento delle sorti.

La Bibbia è una scuola di ironia, che ci educa a discutere con Dio. E nello stesso tempo, anche Dio è ironico con noi perché ci prospetta punti di vista differenti, mette il nostro mondo sotto-sopra, così che gli ultimi si ritrovano primi! L’ironia è un antidoto ai fondamentalismi perché prende le distanze, insegna a guardare il mondo da altre angolazioni, libera dallo sguardo fisso, idolatrico. Ridimensionando la pretesa di comprendere tutto, apre alla forma di ironia più frequentata nella Bibbia, ovvero l’autoironia. Ed è proprio questo sguardo autoironico che spinge Israele a raccontare la propria nascita non con il pianto delle doglie, ma attraverso il riso. Ride Abramo, nostro padre nella fede, davanti al Signore dell’universo, quando questi gli annuncia un figlio nella sua vecchiaia; e ride anche Sara, nostra madre, che origlia, da dietro la tenda, i discorsi tra i messaggeri divini ed il marito. Anche Dio ride: ed il figlio della promessa, Isacco, porterà questo riso divino inscritto nel suo nome. Noi tutti, figli di Abramo, discendenti di quella coppia originaria, siamo figli di una risata, allo stesso tempo umana e divina.

Insomma, per dirla con Rabelais, «ridere è una cosa seria».

Foto via Flickr