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Sono la ragazzina del mercato di Maiduguri

L’orribile massacro del 7 gennaio scorso nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi e le sue tragiche conseguenze hanno suscitato una gigantesca ondata di indignazione. I media, le reti sociali, gli spazi pubblici sono stati sommersi da testimonianze di protesta. Tutti esibivano il proprio «Je suis Charlie». I politici di ogni parte rivendicavano ad un tratto, con pathos, la libertà di espressione come il più alto valore repubblicano,

Un giornale satirico, che dava fastidio a molti, in particolare a questi stessi politici, e quindi da tempo minacciato di chiusura per mancanza di mezzi finanziari, diventava ad un tratto il maggiore simbolo di tutti i nostri valori democratici! Se non fossero stati già assassinati, i disegnatori di Charlie Hebdo non sarebbero «morti dalle risate», nell’assistere a questa vasta recuperazione del loro lavoro di instancabili satirici?

Certo, i delitti commessi ogni giorno vanno condannati senza alcuna esitazione né riserva mentale. Non si può mai tollerare la minima insinuazione di giustificazione, suggerendo che essi hanno «pagato» le loro incessanti provocazioni, che essi dovevano assumere i rischi che stavano prendendo, etc… Sarebbe come quando si sospetta una donna di avere essa stessa provocato lo stupro di cui è stata vittima! E all’intenzione dei gruppi fanatici che si fanno difensori con le armi di una religione presa in giro, si deve dire quello che l’umanista Sébastien Castellion, di cui festeggiamo quest’anno il 500º anniversario, diceva già a Calvino nel 1553: «Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo».

La mia convinzione è anche che per ogni religione, qualunque essa sia, lo humour, ivi compresa la sua forma più pungente, la caricatura, la satira, è una sfida salutare. L’esagerazione svela gli eccessi della religione, i suoi abusi di autorità e di assoluto, i suoi accessi di follia, individuale o di gruppo, i suoi deliri di regolamentazione. Con virulenza, la satira mette il dito sui possibili difetti, ed è un compito indispensabile, come una sorta di prova del fuoco che può permettere alla religione di maturare, di crescere in saggezza.

Detto questo, bisogna riconoscere che la satira è connessa alla responsabilità. Può essere utile tornare ai testi fondatori: nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, così come la libertà delle opinioni è sottoposta alla regola «che la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge» (art. 10), anche la libertà di espressione, «uno dei diritti più preziosi dell’uomo» (art. 11), è sottoposta a una regolazione: «ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge».

Quando si fanno grandi discorsi sulla libertà di espressione, bisognerebbe riflettere a quello che rappresentano questi possibili abusi. Per me, la questione non sta semplicemente nel fissare dei limiti alla satira, a censurarla o a chiederle di autocensurarsi. I veri abusi sono quando i difetti messi in evidenza dalla satira non vengono corretti, quando i problemi sui quali essa mette il dito non vengono trattati. Perché la satira non è gratuita, essa attira l’attenzione su difficoltà, ingiustizie, disuguaglianze, e su vigliaccherie, codardie nello sforzo di affrontarle di petto.

Allora, chiedo a tutti coloro che oggi proclamano «Je suis Charlie» se saranno ancora qui domani, quando bisognerà chiedersi come bisogna lavorare per l’ordine pubblico. Perché l’ordine pubblico è anche l’integrazione nelle banlieues, l’educazione civica nelle scuole, la giusta ripartizione delle ricchezze nella società, il riconoscimento reciproco delle culture e delle religioni. Ma è da temere che una volta di più, tutti gli sforzi si concentrino sulla repressione, lasciando da parte gli sforzi della prevenzione.

Lo stesso problema si pone su scala planetaria: la preoccupazione per la sicurezza in Europa, la compilazione di liste di persone pericolose, il controllo degli spostamenti negli aeroporti, etc… non bastano. Bisognerà una politica coraggiosa di cooperazione con le popolazioni svantaggiate del pianeta, se vogliamo davvero «neutralizzare» la violenza, latente e manifesta, dei fanatismi religiosi che ci spiano.

Un esempio: mentre tutta l’Europa aveva gli occhi volti verso Parigi, orrori ben peggiori stavano accadendo nel Nord Est della Nigeria. Lo stesso mercoledì 7 gennaio, Boko Haram ha raso al suolo 16 villaggi, e non è neanche possibile cifrare il numero di migliaia di vittime. E sabato, mentre centinaia di migliaia di persone protestavano nelle strade europee, la stessa setta fanatica ha trasformato una ragazzina di dieci anni in bomba vivente, mandandola a esplodere in un mercato. Più morti e feriti che a Parigi. Qualche riga discreta nei media, che parlano oltraggiosamente di un «attentato-suicidio»… Che cosa faranno domani i grandi difensori della libertà di espressione del week-end per lottare contro l’oppressione delle popolazioni in Nigeria e altrove?

Allora, io, oggi, in onore degli assassinati di Charlie Hebdo, non sono Charlie, sono la ragazzina del mercato di Maiduguri, di cui non si saprà mai neppure il nome…

(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)

Fonte: Protestinfo

Foto “Un-nigeria“. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.