Anche Gesù fu accusato di blasfemia

Da ieri è in edicola e in libreria (ma anche in versione I-Pad e e-book) il n. 1/2015 della rivista MicroMega, interamente dedicato al tema «Je suis Charlie? Je suis Charlie!». Dopo un articolo di fondo del direttore Paolo Flores d’Arcais su «Democrazia e laicità di fronte al terrorismo islamico», la redazione ha posto a una trentina di «personalità del giornalismo, della letteratura, della musica, della filosofia, del cinema, della Chiesa» dieci domande su critica e laicità nell’epoca del terrorismo. Tra le risposte c’è anche quella di Alessandro Esposito, pastore valdese che vive attualmente in Argentina, il cui contributo è intitolato «Anche Gesù fu accusato di blasfemia».

L’intervento di Esposito è molto articolato; rimandando alla lettura dell’intero testo ci limitiamo a proporre qui le considerazioni che il titolo richiama, in risposta alla domanda 6 relativa alle «pretese censorie»  quando la satira tratta di religione: «Ogni censura è sintomo, oltre che di fragilità democratica, di immaturità psicologica e di sterilità culturale e umana. Forse alcuni pii esegeti dimenticano che lo stesso Gesù, stando ai resoconti evangelici, faceva esplicito ricorso a un’ironia dissacrante, al punto che, scorrendo i dati di cui disponiamo in merito al suo processo, possiamo comprovare che l’accusa mossagli fu quella di blasfemia. L’irriverenza fu un tratto distintivo dell’annuncio e – ancor più – della prassi del rabbi di Nazareth: una certa, sanissima sfrontatezza può disturbare soltanto quanti hanno della fede una visione codificata, poco incline a mettere in discussione quello status quo con cui le istituzioni religiose sono legate a doppio filo da un congruo numero di convenienze reciproche. Dai luoghi di potere in generale, che sono poi gli spazi in cui siedono i rappresentanti delle grandi tradizioni religiose, il diritto al sarcasmo, che è diritto al dissenso e alla critica, è da sempre bandito: ragion per cui non possono essere che le istanze laiche a restituirgli piena cittadinanza nell’agone  pubblico».

Nel suo intervento, tuttavia, il pastore Esposito sottolinea a più riprese la necessità di rispettare la scelta di chi non ha ripubblicato le vignette su Maometto. A questo proposito, sostiene Esposito, «ha influito su tali scelte l’elemento rappresentato dal contesto entro cui decidere o meno di pubblicare le vignette, in seno al quale non è semplice, specie in questo frangente, stabilire se sia più opportuno tutelare il diritto alla libertà d’espressione o, piuttosto, non acuire le tensioni che serpeggiano pericolosamente nella società civile». In conclusione (risposta alla domanda 10), «è sempre opportuno operare dei distinguo e non ritenere che il rifiuto di pubblicare le vignette sia indefettibilmente indice di scarsa affezione ai diritti democratici. Tutto va messo in contesto: e questa prassi intellettuale ci insegna a prestare la dovuta attenzione alle ragioni dell’altro, anziché emettere valutazioni affrettate che condannano il gesto o la sua mancanza senza prendere in considerazione le motivazioni che stanno a fondamento di una scelta diversa dalla nostra».

 

Copertina:  Ecce Homo!, opera di Antonio Ciseri, Pubblico dominio, via Wikimedia Commons