leone

Accadde oggi, 30 aprile

«Quando si spara si spara, non si parla». Queste parole, pronunciate dal “brutto” Tuco ne Il buono, il brutto, il cattivo, sono l’enunciato perfetto del cinema del grande Sergio Leone.

Morto il 30 aprile 1989, Leone era ed è tuttora il regista italiano più conosciuto, apprezzato e studiato al mondo, che non abbia però raccontato storie “italiane”.

Rossellini, Fellini, De Sica, Tornatore, Benigni e Sorrentino, senza nulla toglier loro, hanno infatti goduto del favore che una certa immagine dell’Italia riscuoteva: quella della Dolce vita, delle situazioni rurali e urbane tipicamente italiane.

Sergio Leone, invece, ha scelto di non mostrare la grande bellezza italiana: i suoi sono film di genere, generi universali che molti hanno affrontato, ma pochissimi sono stati bravi come lui. Molti spettatori non si sono neanche resi conto che i suoi erano film diretti da un italiano.

Quando si parla di Sergio Leone, non si racconta la sua vita, ma i film, gli sguardi, le inquadrature, i primissimi piani e i campi lunghissimi. Si nomina Sergio Leone e subito nella memoria si risveglia una colonna sonora di Ennio Morricone. Regista rigorosissimo, era in grado di fare qualunque cosa volesse, seguendo quella semplice regola enunciata da Tuco.

Per il suo primo western, Per un pugno di dollari, Leone prende un genere americano con un soggetto giapponese — Akira Kurosawa si fece pagare profumatamente per il plagio del suo La sfida del samurai — e li fonde attraverso una lettura materialista della storia. Il marxismo di Leone è la chiave della fruizione universale dei suoi film: i soldi sono il motore della storia.

Gli inventori del genere capirono subito che qualcosa non andava. Il western americano — specificazione geografica necessaria solo dopo il cinema di Leone — si fondava sul mito della frontiera: la conquista del west era una riedizione della conquista della terra promessa raccontata nell’Antico Testamento. Il western, come i film di gangster — altro genere rivisitato in C’era una volta in America —, aveva infatti contenuti traslati dalla teologia biblica: il peccato, la redenzione, la comunità. Nei film di Leone nessuna redenzione, perché contano solo i soldi. Il “buono” si chiama così solo perché si prende i soldi che gli spettano e perché non uccide gratuitamente: un’etica laica.

Non per caso, il suo western meno riuscito fu Giù la testa. Qui i soldi lasciano lo spazio all’impegno rivoluzionario e alla punizione del regista nei confronti dell’autore western da lui preferito. Leone non perdonò mai Un uomo tranquillo a John Ford, film dove cattolici e protestanti irlandesi vivono pacificati, e creò appositamente il terrorista bombarolo Sean/John.

La rivisitazione del western è una vera e propria riforma del cinema. Attori, star e starlettes: quello che conta è come racconti una storia, non chi la interpreta. Henry Fonda è sempre stato un buono? Allora gli metto un cappello nero in testa e diventa uno dei più riusciti cattivi del cinema. Trucco da tragedia greca o da commedia dell’arte: non è l’attore, ma la maschera che gli mette il regista. E quale maschera è stata il giovane Clint Eastwood con poncho, cappello e sigaro!

«Quando si spara si spara, non si parla». Quando si gira un film, si gira un film, non si racconta una morale. E fu così che lo spaghetti western conquistò il mondo.

Foto “Sergio Leone 1987” di sconosciuto – http://www.giffoniff.it/pageview2.php?i=998&sl=1. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikipedia.