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Legge 40 addio?

Da pochi giorni sono entrate in vigore le nuove linee guida del Ministero della Salute in tema di procreazione medicalmente assistita. In particolare la fecondazione eterologa, che prevede la donazione di uno dei due gameti (il seme oppure l’ovulo) da un soggetto esterno alla coppia, è regolata da nuove indicazioni cliniche, oltre ad essere stata inserita nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, garantendo in questo modo a tutti i cittadini le stesse prestazioni su tutto il territorio nazionale. L’11 luglio, a Firenze, è nato il primo bambino figlio di una coppia che ha utilizzato la fecondazione eterologa in una struttura pubblica. «Ormai la Legge 40/2004 è rimasta un’ossatura senza carne – dice Monica Fabbri, biologa e per anni nella Commissione Bioetica della Tavola Valdese – una legge che che non andava fatta e non andava fatta così».

Cosa pensa di queste notizie?

«Il fatto che un bambino sia stato concepito con fecondazione eterologa in una struttura pubblica non è assolutamente irrilevante. Quest’anno ricorrono i 10 anni dal referendum che voleva essere in parte abrogativo sulla legge 40, e uno dei quesiti era proprio sulla fecondazione eterologa. È interessante osservare come in quel referendum che non raggiunse il quorum, il quesito sull’eterologa ricevette molti meno sì rispetto agli altri: circa un milione fra le persone che andarono a votare non ritennero utile abrogare il divieto dell’eterologa. A 10 anni sono stati fatti molti passi in avanti: sicuramente molta più informazione, gli interventi della Corte Costituzionale, e un cambiamento nel pensiero degli italiani. Mi sembra ci sia molto meno scandalo ora quando si pensa alla donazione di gameti. Resta il fatto che la fecondazione eterologa sia stata il fanalino di coda, non è stata la priorità assoluta: ma alla fine è stato raggiunto un diritto importante per le coppie sterili».

Quello che spaventava nel 2004 non fa più paura?

«Il punto in realtà è importante: l’informazione che c’è stata nel frattempo è stata più corretta e approfondita. Ai tempi della legge 40 è stato tutto troppo rapido, su un argomento molto complesso su cui prima non si era riflettuto abbastanza. Ora tanti miti sono stati sfatati, come la questione dell’eugenetica. Anche la diagnosi preimpianto che era assurdamente vietata dalla legge, si è capito che non viene fatta con obiettivi eugenetici in generale, ma proprio per prevenire malattie molto gravi. Dopodiché di alcune questioni stranamente non si parla più, come della tutela dell’embrione come fosse una persona, quello che nella legge 40 viene chiamato il concepito, che invece è importante da affrontare. Come un pallone che si è gonfiato su questioni inutili, che poi si è sgonfiato senza lasciare spazio neanche agli aspetti che contano e su cui invece è giusto riflettere».

L’inserimento nei Lea permette meno distinzioni tra una regione e l’altra nell’accesso alle cure.

«Mi sembra una questione di equità nella distribuzione delle risorse e serve a diminuire le diseguaglianze. La sterilità è una patologia, ed è considerata tale a livello mondiale, avere un figlio è un diritto e tutti devono poter provare ad averlo, anche se hanno meno possibilità economiche. L’inserimento nei Lea è un passaggio verso una maggiore equità a livello sanitario: non è possibile che l’accesso a questo tipo di tecnologia sia permesso solo ad alcuni e non ad altri a seconda del censo. Deve essere superato anche a livello culturale: non si tratta di genitori egoisti che desiderano avere figli a tutti i costi, ma di un normalissimo desiderio di maternità e paternità, oltre alla volontà di superare una patologia che colpisce il proprio corpo e la coppia».

Come si può parlare correttamente e serenamente di etica e bioetica in Italia?

«Credo che la strada giusta sia partire dagli aspetti scientifici perché questi forniscono alle persone gli strumenti per poter capire esattamente di cosa si parla, non facendo quindi un discorso ideologico. Quello dell’eterologa, per esempio, è un argomento complesso, non semplice da raccontare, spiegare e capire: che significa dire che il nostro genoma ci identifica? Che i gemelli identici sono la stessa persona? Cosa significa la donazione di gamete con metà del mio genoma? L’Italia soffre di una grandissima ignoranza in questo senso, ed è un peccato perché siamo in un momento in cui potrebbe superarla. Dopo essere partiti dagli aspetti scientifici, occorre affrontare gli aspetti filosofici senza portare in discussione i due estremi, che tendono a ideologizzare l’argomento e a non fornire gli elementi di riflessione: non dobbiamo educare le coscienze, dobbiamo dare degli strumenti perché le persone possano farsi la loro idea, visto che si tratta di aspetti profondamente personali».

Foto: “Icsi“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.