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Il Centro Emanuel e la «città-giardino» Colonia Valdense

La «città-giardino» di Colonia Valdense costituisce per i valdesi sudamericani ciò che Torre Pellice rappresenta per i valdesi italiani: sulla via principale (l’ampia Avenida Daniel Armand Ugon) si allineano la scuola, gli impianti sportivi, il liceo, la libreria Morel, il Tempio, la sede della Mesa Valdense, il museo, la casa di riposo e, due km. più avanti, il Centro Emanuel, a cui il pastore Carlos Delmonte dedica un recentissimo libro* che narra le vicende dei sessant’anni di vita di quell’istituzione, oggi una delle più avanzate nel suo campo.

Tutto ha inizio con i «ritiri spirituali» organizzati dalla signora Yvonne Galland nella sua casa di Colonia Valdense. Il pastore Emanuel Galland e la moglie, nata van Berchem, erano cittadini svizzeri, trapiantati a Buenos Aires, dove il pastore esercitava il suo ministero. Rimasta vedova, la signora Galland scelse di vivere a Colonia Valdense, dove la famiglia possedeva anche una fattoria. I primi ritiri spirituali oltre che in casa Galland si svolgevano pure nel Parque XVII de Febrero finché, a un certo punto, la famiglia destinò cinque ettari della fattoria per collocarvi gli edifici di un Centro, dedicato alla memoria del pastore Galland, e in cui avrebbero continuato a svolgersi quei ritiri. Essi seguivano più o meno le consuetudini di Grandchamp o di Taizé, e comportavano studi biblici, preghiera e meditazione, silenzio ai pasti. Ben presto la vivacità latino-americana cominciò a mal sopportare il silenzio, mentre in pari tempo si affiancavano ai momenti puramente spirituali altre iniziative come studi, conferenze, dibattiti e corsi di preparazione per i laici impegnati. Col tempo il Centro aveva acquistato i restanti venti ettari della fattoria per destinarne i proventi al proprio mantenimento.

Il pastore Delmonte racconta in dettaglio tutta l’evoluzione dell’istituzione sottolineando la sua natura ecumenica: vi partecipano infatti, anche a livello direttivo, le Chiese valdese, mennonita, metodista ed evangelica del Rio de la Plata; i cattolici intervengono sia come ascoltatori sia in funzione di oratori. Tra i nomi delle persone impegnate spiccano quelli di Valdo Galland e di Julio de Santa Ana, personalità ben note negli ambienti ecumenici internazionali.

Nel corso della narrazione emergono i momenti tristi e quelli lieti. Tra i primi va ricordata la tragica morte della signora Galland e di uno dei suoi figli in un incidente d’auto. Lei era ancora attiva e la sua scomparsa è stata causa di difficoltà. L’altro momento negativo è stata la dittatura militare. Le autorità pretendevano di conoscere i nomi ed eventualmente vietare la partecipazione di determinate persone agli incontri, e lo sviluppo di certi temi. Volevano addirittura sapere in anticipo le parole degli inni che si sarebbero cantati. Le dittature militari (e anche le altre) sono devastanti, e il pastore Delmonte ne ha fatto personalmente l’esperienza, ma, come dimostra la questione degli inni, sono anche tragicamente ridicole.

Tra le esperienze positive va ricordata l’iniziativa del moderatore Aldo Sbaffi (1974-79) di proporre l’invio di pastori italiani per sostenere le attività del Centro; parecchi vi fecero un soggiorno di vari mesi e uno di loro, Sergio Ribet, esercitò poi in Uruguay un ministero di alcuni anni. Tutto ciò ha contribuito a rafforzare i vincoli di fratellanza tra i due rami della Chiesa valdese, che oggi sono molto più intensi di quanto non fossero subito dopo la guerra. Tra le decisioni felici vi è stata anche quella di dedicare la fattoria non al mero sostegno finanziario, ma a diventare un luogo di sperimentazione e di diffusione di tecniche agricole più moderne e, soprattutto, più ecologiche di quelle tradizionali.

Nel concludere la sua simpatica rassegna della storia del Centro Emanuel, l’autore menziona tre luoghi, che ne rappresentano i tre aspetti dell’impegno: la cappella, l’aula e la fattoria, ossia la vita spirituale, la preparazione personale per il servizio al prossimo e l’impegno concreto per un’agricoltura rispettosa del creato. L’unico neo del libro è la mancanza di un indice dei nomi, che permetterebbe di ritrovare facilmente qualcuna delle moltissime persone di cui si menziona l’attività. Comunque il libro è estremamente interessante, soprattutto per chi è stato in Uruguay o vi ha dei conoscenti e può leggere lo spagnolo, ma l’abbiamo segnalato specialmente per sottolineare l’impegno concreto e moderno dei nostri fratelli sudamericani.

* Carlos Delmonte, Para que la semilla caiga en buena tierra, Ed. Diana Paris, pp. 157, s.i.p.

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