palmira

Un’umanità senza patrimonio si aggira per l’Europa

Si stanno scaldando i motori. I piloti hanno l’adrenalina a mille. Il decollo è imminente. Al-Baghdadi, il boss dell’Isis, è nel panico più nero: stanno per arrivare gli italiani con i loro potenti mezzi!

«Là dove i cavalli/ non possono correre. / Là dove non c’è neanche/ un foro/ che permetta/ d’entrare al raggio di luce./ Là dove non c’è erba/ che cresce, / mi afferro / ai piedi delle parole». Parole di Maram al-Masri, poeta siriana esule a Parigi. Un altro pezzo della Palmira di Siria pare sia stato distrutto, si sgretola un patrimonio dell’umanità, mentre un’umanità senza patrimonio si aggira per l’Europa, come il famoso spettro.

Io riprendo un compito che mi sono autoassegnato: custodire parole e storie che scrittori e scrittrici di Siria (precedentemente, dello Yemen seviziato) hanno composto e reso beni universali. Palmira non è stata salvata, salviamo la letteratura, leggendola, assimilandola. Impresa non facile. Ci fosse una biblioteca, una scuola, un gruppo di lettori senza frontiere (lettrici, principalmente), che raccogliesse i testi, li facesse circolare, scansionandoli magari. Chissà.

Dammi le tue bugie/ affinché le lavi/ le faccia penetrare nell’innocenza del mio cuore/ e le trasformi in verità dice ancora Maram al-Masri, Ciliegia rossa su piastrelle bianche, Libero di scrivere, Genova, 2005.

L’editoria italiana, per quanto ne so, ha fatto sufficientemente bene il suo mestiere. Segnalo alcuni dei testi tradotti, il cui reperimento richiede forse un po’ di impegno.

E’ poeta anche Golan Haji, nato nel 1977, curdo siriano che scrive in arabo, esule a Parigi: io sono il pane degli invisibili/divorato dagli sguardi degli altri, in L’autunno, qui, è magico e immenso, traduzione di Patrizia Zanelli, Il Sirente, Fagnano Alto [Aquila], 2013. Questa benemerita editrice ha pubblicato altri testi di autori siriani, tra cui Nihad Sirees, del 1950, esule a Berlino, Il silenzio e il tumulto, traduzione di Federica Pistono, 2014. Un romanzo dell’assurdo in cui Assad compare come il Compasso per l’umanità.

Credo che sia ancora in Siria Khaled Khalifa, che tre anni fa aveva inviato una disperata lettera aperta agli scrittori di tutto il mondo, invitandoli a prendere consapevolezza di ciò che stava succedendo nel suo paese: «Il mio popolo è un popolo di pace, di caffè e musica che mi auguro un giorno possiate gustare anche voi, e di rose di cui spero possiate sentire il profumo, affinché sappiate che il cuore del mondo è oggi vittima di un genocidio e che il modo intero è complice nello spargimento del nostro sangue». La lotta contro il regime di Assad gli è costata anche violenze fisiche. Il suo romando Elogio dell’odio, traduzione di Francesca Prevedello, Bompiani, Milano, 2011, dispiega una scrittura fortemente poetica ed è brulicante di donne che prendono la parola per contrastare la realtà oscura e dolente. 

Mi fermo qui, ricordando ancora, delle ultime generazioni, Samar Yazbek, fuggita a Parigi, e i suoi due romanzi pubblicati da Castelvecchi, Il profumo della cannella e Lo specchio del mio segreto.

Ho ripreso in mano due testi letti venti anni fa, di Ghada Samman, nata a Damasco nel 1942, esule a Parigi, Vedova d’allegria e Un taxi per Beirut, e mi sono reso conto che la mia rilettura odierna non ha parentela con quella di allora, come se il supplizio siriano agisse anche in me che me ne sto qui a disquisire di letteratura e non devo scappare da niente né vedere la morte agitarsi per strada.

Foto di Meinzahn, ©iStockPhoto