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Il paradosso di Francesco

Il Sinodo sulla famiglia conclusosi il 24 ottobre ha costituito, secondo diversi commentatori, un evento «storico»: non si può dire, però, che la valutazione colpisca più di tanto, visto che, a sentire costoro, regnante Francesco gli eventi «storici» si susseguono al ritmo di un paio al giorno, il che produce inevitabilmente un certo effetto di inflazione e, anche, si assuefazione. Appare meno semplice stabilire in che cosa consista la bomba innovativa. Qualcuno osserva, prudentemente, che non si tratta del testo finale in se stesso: giusto, perché, come vedremo, la lettura non è ricchissima di emozioni. La novità sarebbe, semmai, nell’«evento» come tale, che ne farebbe, secondo i più audaci, «quasi un concilio». Poiché, però, sui dettagli del dibattito non sono disponibili (almeno a chi scrive) informazioni dettagliate, non è facile farsi un’opinione documentata. Dobbiamo dunque rivolgerci al documento.

Il testo finale. Esso consta di un’introduzione, tre parti e una conclusione, per un totale di 94 paragrafi, seguiti da una preghiera alla Sacra Famiglia. La prima parte («La chiesa in ascolto della famiglia») è di carattere sociologico-descrittivo; la seconda («La famiglia nel piano di Dio») ha un taglio teologico, con ampio spazio alla tradizione magisteriale recente e con una conclusione sul tema della misericordia; la terza parte («La missione della famiglia») vede un taglio prevalentemente pastorale. In essa troviamo i temi più attesi e contrastati. Risulta senz’altro confermato il parere espresso, nel corso dei lavori, da numerosi sinodali: tali questioni controverse non rivestono un ruolo centrale. Siamo di fronte, invece, a un’esposizione ampia e organica della posizione cattolico-romana sul tema, che si segnala per una sostanziale continuità con l’insegnamento recente di quella chiesa. Il Sinodo ha le idee molto chiare su che cosa sia, ieri, oggi e sempre, la famiglia: padre, madre, figli. Si tratta di un dato teologico e «naturale»: certo, esso si declina in termini in parte diversi, nella storia e, oggi, nelle diverse regioni del mondo; le variabili, tuttavia, sono decisamente secondarie, rispetto ciò che è essenziale. Per molti, al di fuori, e anche all’interno, della chiesa cattolica, esattamente questo punto sarebbe meritevole di ulteriore riflessione. Non è detto che sia necessario sostenere un punto di vista opposto, cioè che la famiglia è un prodotto delle circostanze storiche e sociali, senza che altri fattori, anche di carattere biologico, svolgano un ruolo decisivo. Il rapporto tra natura e cultura, tuttavia, è molto più articolato di quanto il magistero cattolico continui ad affermare.

Cattolicità. I sinodali hanno sottolineato con insistenza un aspetto importante: la chiesa di Roma intende essere «cattolica», cioè universale. Ciò implica che le diverse esigenze debbano essere oggetto di confronto e mediazione tra chiese locali che hanno sensibilità profondamente diverse. Si tratta di procedere insieme, nel rispetto delle specificità. Per tale ragione, alcune domande centrali nel mondo ricco (ad esempio quelle relative alle persone divorziate, o a quelle di orientamento omoaffettivo) hanno dovuto essere relativizzate, perché altre chiese le vivono in termini assai diversi. Si tratta di un tema teologicamente e spiritualmente centrale, nonché ambivalente. Da un lato, infatti, l’istanza universalistica è irrinunciabile: se ognuno procede per conto proprio, la comunione diviene astratta e formale. Si tratta, notoriamente, di una delle critiche mosse da Roma all’ecumene protestante. Ci si può domandare, tuttavia, se questa unità piuttosto monolitica, nonostante la retorica sulla diversità, non risulti in definitiva bloccante. La verità è che né cattolicesimo né protestantesimo dispongono della formula magica per coniugare unità e diversità: ciò vale non solo per il tema della famiglia, ma per tutte le sfide rivolte alle chiese. Anzi, tale formula non esiste: esistono solo tentativi, responsabilmente (si spera!) compiuti nel nome di Gesù. Ma questo, dice Roma, è relativismo. Dunque, avanti verso ogni sorta di svolta epocale, a patto però che si lasci tutto, o quasi, come prima.

Punti caldi. L’ormai famoso paragrafo 85, che detiene il primato dei voti contrari, contiene formulazioni che sono interpretate dai più come una prudente apertura alla partecipazione di persone divorziate e risposate all’eucaristia. La prosa è a dir poco complessa, mentre la constatazione risulta, mi permetto di dire, ovvia: le situazioni possono essere assai diversificate. È una svolta? Lascio la risposta agli aruspici professionali di cose vaticane: le autorità addotte, comunque, sono Giovanni Paolo II, il Catechismo della Chiesa Cattolica e una dichiarazione di una congregazione curiale del 2000: impulsi non precisamente sovversivi. Necessari per ammansire gli oppositori, si dirà. Può essere e non è il caso di affettare giudizi: evitiamo, però, di strombazzare rivoluzioni.

Tutto bloccato, invece, per le coppie interconfessionali: la condivisione della Cena del Signore «non può essere che eccezionale» (n. 72): secondo il Sinodo, a quanto pare, «normale» è la separazione. Triste. Quanto alle unioni omoaffettive, non è possibile «stabilire analogie, neppure remote, tre [esse] e il disegno di Dio su matrimonio e famiglia» (n. 76). Prevedibile.

Il futuro. Eppur si muove, insistono molti, anche perché, alla fine, decide il papa. Il «paradosso di Francesco» è anche questo: le spinte innovatrici sono attese da un rafforzamento del centralismo romano, ad opera di un pontefice che intende essere collegiale. Rilevare tale singolarità, da parte evangelica, è anche troppo facile. Più impegnativo, ma anche più interessante, è mettere in opera forme diverse di cattolicità, che siano anche in grado di offrire risposte meno insoddisfacenti a sfide che, nel documento, sono menzionate (ed è già qualcosa), ma impostate in termini che, anche a detta di molti cattolici, la storia ha già superato.

Foto Pietro Romeo/Riforma