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Vietato addormentarsi durante il sermone

L’autore de I viaggi di Gulliver, pastore anglicano, dedica un vibrante sermone alla fustigazione dell’abitudine, a quanto pare diffusa (al suo tempo, si capisce), di dormire in chiesa*. Essa, com’è noto, conosce precedenti famosi (cfr. At. 20, 7-12), dai quali, infatti, Swift prende le mosse. Egli si mostra subito consapevole del problema strutturale legato alla sua perorazione: coloro che l’ascoltano non sono, evidentemente, quelli che maggiormente ne trarrebbero profitto, ma ciò non lo turba più di tanto. L’analisi inizia constatando un empio disinteresse per la predicazione, specie, appunto, da parte di coloro che più ne avrebbero bisogno.

Più ancora della diserzione, tuttavia, Swift condanna la pratica che dà il titolo all’opuscolo. Essa, in effetti, così come lo scrittore la descrive, presenta aspetti inquietanti: «È proprio il suono del sermone che intorpidisce le loro facoltà, come dimostra il fatto che tutti si svegliano, con assoluta puntualità, quando il sermone è finito e ricevono con molta devozione la benedizione, assopiti e storditi da indecenze che io mi vergognerei di pronunciare» (p. 28). Questo punto, che cioè il sonno «omiletico» sarebbe accompagnato da pensieri indecenti, coltivati nel dormiveglia, si direbbe, ricorre anche altrove nel breve testo, anche se non è chiarissimo come l’autore ne sia informato. Più in generale, la domenica sarebbe divisa tra Dio e le «ingordigie»: poiché Swift parla qui di sermoni pomeridiani, le conseguenze per il suo tema sono rilevanti.

Non è tutto: chi, tenace, resta sveglio, critica il predicatore e la predicazione: il primo sarebbe noioso, cattivo oratore e simili, la seconda scontata, retoricamente debole, indegna del confronto, ad esempio, con la retorica classica. Non senza una certa audacia, Swift difende la corporazione pastorale citando I Cor. 2, 1, dove Paolo spiega le ragioni della sua rinuncia agli artifici oratori; la disavventura di Eutico in At. 20 è posta dallo scrittore in relazione a questa scelta apostolica (p. 33): insomma, chi dorme rifiuta la parola della croce e meriterebbe di rimetterci la pelle. Un intero paragrafo è dedicato alle conseguenze di questi comportamenti: Swift, rinunciando all’ambizione di stupirci, dice che sono disastrose.

Il predicatore propone una serie di «rimedi». Il primo presenta un suo interesse: il sermone non è un’esibizione retorica e chi lo ascolta dovrebbe considerarlo un’occasione di verifica; il secondo rimedio consiste nel tener conto del fatto che non tutti sono oratori brillanti o fini ragionatori: anche se lo fossero, del resto, «dati i cervelli che ci sono in circolazione», non sarebbero apprezzati; infine, si sappia che ridicolizzare il prossimo è fin troppo facile e si corre il rischio di vilipendere non il predicatore soltanto, ma la stessa fede. In generale, il guaio è addebitato alla «lussuria».

Il sospetto di un possibile legame tra la dilagante sonnolenza e una qualità della predicazione suscettibile di miglioramento non sfiora minimamente l’autore: anzi, il fatto che la stessa predicazione paolinica sia andata vicino a conseguenze letali è interpretato come segno di una specie di «sopore originale» che affliggerebbe quanti occupano spazi ecclesiastici. Il pastore Swift affronta la sfida intensificando la reprimenda, ma egli stesso ha spiegato le ragioni che inducono a dubitare dell’efficacia di tale strategia.

L’introduzione di Adriano Zanacchi è dedicata alla «difficoltà del predicare», che può essere affrontata, ad esempio, con l’aiuto di alcuni consigli di papa Francesco, ma anche del classico Trattato dell’argomentazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca. Esso, a differenza di Swift, ha delle proposte anche per chi predica. Ad esempio, quella di «non trascurare lo sforzo di adattamento al proprio uditorio»; e il curatore aggiunge «la ricerca di un linguaggio in grado di attirare e coinvolgere». Da qualche parte bisogna pur cominciare e, come dice Swift, non è sempre necessario essere originali.

* Jonathan Swift, Predica sul dormire in chiesa, a cura di Adriano Zanacchi, Bologna, Dehoniane, 2016, pp. 46, euro 5,50.

Foto: By Francis Bindon (died 1770) – National Portrait Gallery: NPG 5319 Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6370372