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Testimonianze del passato, strumenti di testimonianza

Una realtà piccola, quella valdese e metodista, nel nostro paese, ma una realtà che, perseguitata e mal sopportata per secoli, confinata nei villaggi più impervi delle vallate alpine del Pinerolese, una volta che ha avuto un prezioso riconoscimento con le Lettere Patenti di Carlo Alberto (17 febbraio 1848), non ha esitato a sentirsi parte attiva, del Paese in cui avventurosamente è riuscita a sopravvivere. Con queste parole il moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini ha introdotto la Giornata di studi sul patrimonio culturale ospitata nei locali dell’Archivio di Stato di Torino venerdì 8 aprile, occasione per presentare il «Portale» realizzato da una ditta specializzata torinese in collaborazione con l’Ufficio Beni culturali, messo in rete lo stesso giorno, che si inserisce nel più articolato Sistema informativo ABACVM (Archivio beni e attività culturali valdesi e metodisti) promosso dalla Chiesa evangelica valdese. L’Archivio di Stato era la miglior sede per un incontro del genere. Intanto, a livello evocativo: nei suoi locali sono conservate proprio le Lettere Patenti del 1848; inoltre l’Archivio è stato la prima istituzione con cui la Chiesa valdese ha avuto una interlocuzione finalizzata alla valorizzazione del proprio patrimonio.

La nozione di patrimonio culturale è connaturata con una serie di ambiguità ineludibili (ma anche suggestive), la prima delle quali – ha detto Lorenzo Casini, consigliere giuridico del ministro dei Beni e Attività Culturali – consiste nella duplice valenza del patrimonio culturale: strumento di studio che tende a costituire un insieme di beni riconoscibili (e quindi osservabili); ma al tempo stesso destinato ad accrescersi, proiettato in una dimensione diacronica tra passato, presente e futuro, e a mutare.

Gino Satta (Università di Modena) ha portato lo sguardo al di là della materialità degli oggetti: nel suo approccio di taglio antropologico ha chiarito come si siano sviluppati negli ultimi decenni gli studi che investono gli atteggiamenti delle persone, i gesti che di una «cosa materiale» fanno un componente di un patrimonio.

Erminia Sciacchitano (membro della Direzione generale Educazione e cultura della Commissione europea) ha chiarito la svolta, in seno alle istituzioni europee, che nel 2014 ha proposto, al di là della tendenza consolidata alla sussidiarietà, una vigilanza sul patrimonio culturale europeo. Certo, andrà chiarito che cosa si intenda con questa definizione, ma l’innovazione è forte, se si pensa che in genere si tendeva a non fare a livello centrale europeo ciò che possono fare i singoli Stati membro. Tutti gli Stati si erano resi conto di quanto invece la cooperazione sia importante.

Se il patrimonio culturale è l’insieme di beni di diversa tipologia (dalle opere d’arte agli archivi ai centri storici al paesaggio) «che descrivono la storia del territorio che li ha generati, definendone i valori di riferimento» (Carla Di Francesco, architetto, dirigente generale al Ministero), nondimeno il fascino dell’operazione e della sfida per le chiese valdesi e metodiste è che parte di questo patrimonio è tuttora in uso», come aveva detto Bernardini in apertura: sono quindi le chiese a farne gli strumenti del proprio operare. E allora, possiamo aggiungere, proprio alle chiese ritorna la palla. L’opportunità di mettere a disposizione dei nostri concittadini queste prove della loro presenza in Italia avrà un possibile «ritorno» nel dialogo che le comunità locali e le istituzioni culturali metodiste e valdesi potranno stabilire con chi le visiterà. La disponibilità del materiale di valore storico, culturale, teologico ed ecclesiologico, oggetti materiali che rimandano a concetti e valori immateriali, potrà così diventare veicolo di una testimonianza che non si è mai persa nei secoli e si dota con fiducia dei più aggiornati strumenti, senza rinunciare al proprio ricchissimo retroterra e alla sua vocazione alla testimonianza cristiana.