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Una spiritualità globale salverà l’ambiente?

Il Ttip, il Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti tra Unione europea e Stati Uniti è un accordo in fase di discussione che prevede una ridefinizione delle regole dei due continenti in modo da creare un grande mercato di libero scambio. Secondo attivisti che si oppongono all’accordo, il Ttip tutelerà solo gli interessi delle multinazionali. Greenpeace qualche giorno fa ha pubblicato un documento che rivela alcune parti del partenariato, rendendo note, in particolare, parti che riguardano il cibo, l’agricoltura, o i cosmetici. Dai documenti sembra che le trattative tra Stati Uniti ed Europa siano bloccate e che gli Usa abbiano minacciato di rallentare l’importazione di auto europee per costringere il vecchio continente a comprare più prodotti agricoli statunitensi. Ne parliamo con Jens Hansen, pastore e membro della Tavola Valdese, è stato componente della Glam, commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.

Anche se riguardano tutti, queste notizie spesso escono grazie ai leaks: che ne pensa?

«Non nascondo che sono a favore di chi ha il coraggio di pubblicare delle cose segrete facendole arrivare a tutti. Sul Ttip ci sono sempre state parti nascoste, potevamo solo basarci su delle idee o su opinioni trapelate. Con queste pagine sappiamo che le paure che c’erano erano fondate, forse addirittura peggio. Nonostante l’accordo riguardi più di un miliardo di persone, queste non vengono minimamente coinvolte, e i parlamenti dovranno solo ratificare. A Bruxelles c’è un luogo dove i deputati europei possono leggere il trattato, ma niente di più. Al tavolo delle trattative ci sono i politici e le grandi multinazionali, ma nessun esponente della società civile, che invece dovrebbe essere coinvolta. Conoscendo il contenuto di queste pagine si spiega la segretezza, perché è davvero una bomba».

Quali sono i rischi maggiori, secondo lei?

«Soprattutto sono toccati gli ambiti che riguardano il cibo, i cosmetici, i pesticidi e l’agricoltura, ma anche i diritti sul lavoro, l’ambiente, il welfare e clima: tutti aspetti che ci interessano. Le cose più preoccupanti sono due, credo. Una è la procedura delle controversie tra stati e aziende, l’Isds, tribunali privati che possono fare causa agli Stati se fanno leggi a discapito delle multinazionali. Pensiamo alla causa della Philip Morris contro i governi di Uruguay e Australia per questo motivo. Questo è un esempio che ci fa immaginare cosa potrebbe succedere se uno stato europeo approvasse delle leggi a favore del clima e dell’ambiente. La seconda cosa è la minaccia del principio di precauzione europeo: se una cosa è probabilmente pericolosa può essere tolta dal mercato. Senza di questo potremmo avere accesso a sostanze che potrebbero danneggiare la salute senza la tutela dello stato. Sembra davvero contro le persone e a favore delle grandi aziende: i cittadini diventano solo consumatori».

Cecilia Malmström, commissario europeo per il commercio, ha detto che la sicurezza alimentare e ambientale non sono a rischio.

«La responsabile fa il suo mestiere e deve difendere il trattato, come fa anche la Merkel, indipendentemente da cosa dice l’opinione pubblica. Ma nelle pagine del documento si dice il contrario di cosa afferma la Malmström. Molti sono favorevoli a questo trattato, io credo soprattutto chi si immagina un vantaggio. Ma esperti ed economisti dicono che gli effetti positivi sull’economia saranno pochi e dopo il 2030. Dall’altro lato vedo una grande opposizione, ci sono state grandi manifestazioni in Germania, ma non solo. Il 7 maggio a Roma ce ne sarà un’altra. Queste decisioni dovrebbero tenere conto anche delle paure delle persone. Gli Usa ricattano gli europei con il blocco dell’import delle auto nel caso non ci sia importazione dei prodotti agricoli Usa. Questo spaventa, e il famoso pollo clorato (in riferimento al lavaggio dei polli con cloro negli Usa) è un esempio diventato il simbolo contro il Ttip».

Come coinvolge i credenti questa discussione?

«Una regola importante che ho imparato è che tutti i trattati internazionali sul commercio hanno successo solo se il consumatore, e quindi anche noi nelle nostre chiese, sceglie le loro logiche. Se ne usciamo e compriamo prodotti locali, biologici e così via, facciamo un passo che si allontana dell’idea che siamo solo consumatori. Il principio di responsabilità è importante per noi: possiamo pensare a nuovi modi di vivere, di procurarci il cibo, di vederlo in modo diverso. Il nostro comportamento nei confronti dei cibo e dell’ambiente è dettato non dalla qualità o dal rispetto dell’ambiente, anche se sappiamo che la crisi economica non aiuta in questo. Una spiritualità globale, che ingloba tutto ci può aiutare. L’ambiente non è un prodotto di nicchia, ma dovremmo avere il coraggio di sviluppare una spiritualità più relazionale: cosa produce il mio comportamento nell’altro o nel prossimo più lontano che produce i miei prodotti? Se mi rendo conto di questo, cambierò anche il mio stile di vita nello spirito della responsabilità che ci insegna l’Evangelo».

Foto: realworkhard via Pixabay.