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L’amore non fa distinzioni

Deputati presenti 522; votanti 423; astenuti 99; maggioranza 212; favorevoli 372; contrari: 51. «La Camera approva». Così la presidente della Camera Laura Boldrini annuncia la fine dell’iter parlamentare del disegno di legge Cirinnà «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze». Queste le cifre che hanno portato all’approvazione del ddl e una ventata d’aria nuova in una Italia piccola piccola: senza polemizzare o criticare la maniera con cui il testo è passato (siamo abituati all’uso smodato del voto di fiducia), speravo che ci sarebbe stata una convergenza anche di quelle forze politiche che si sono sempre dette progressiste ma… così sono i giochi di potere e qualunquisticamente aggiungo che tanto le spese le fanno sempre i cittadine e le cittadine.

L’iter parlamentare è terminato ma il ddl non è ancora legge della Repubblica, mancano la firma del Presidente della Repubblica, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, insomma circa una trentina di giorni, poi la legge entrerà in vigore e sarà completata entro sei mesi dai decreti legislativi dell’Esecutivo. Questa legge non regolerà solo le unioni civili tra persone dello stesso sesso ma disciplinerà anche le convivenze tra persone di sesso diverso: troppo spesso si tende a dimenticare questo piccolo fondamentale particolare.

Subito dopo l’approvazione la comunità Gay-lesbico-bisex-trans-queer-intersex (Glbtqi) ha festeggiato una vittoria a lungo sognata, desiderata e per cui l’impegno non è mai mancato; d’altra parte la destra ha rilasciato dichiarazioni già sentite: i soliti argomenti sul valore e sulla sacralità della famiglia. Anche la Chiesa cattolica ha inteso mettere in guardia la società su questa legge che metterebbe in pericolo la stabilità della famiglia, dimenticando che anche una coppia di persone dello stesso sesso o di persone di sesso diverso, ma non unite dal «sacro» vincolo matrimoniale, e che si sostengono reciprocamente, condividendo progetti di vita, sono una famiglia; e che l’amore non fa distinzione. Ben ha puntualizzato il presidente del Consiglio che ha giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo. Si aggiunga poi l’annuncio della probabile richiesta di un referendum abrogativo di quelle parti della legge che la rendono tanto simile al matrimonio e le dichiarazioni di alcuni personaggi politici, tra i quali anche un candidato sindaco di Roma, che hanno affermato che non celebreranno unioni civili o invitano i sindaci del loro partito a non adeguarsi alla legge – ricordo che la legge approvata giorni fa non prevede l’obiezione di coscienza e che i sindaci o i loro delegati sono obbligati ad applicare le leggi. Per quel che riguarda l’ipotetico referendum abrogativo, penso che neanche la Chiesa cattolica vorrebbe dargli il suo appoggio considerati i risultati dei precedenti referendum (divorzio e interruzione volontaria di gravidanza).

In questo panorama le chiese del protestantesimo «storico» italiano non potevano che essere soddisfatte di questa legge che allarga i diritti, ma presentano sfumature varie; ancora oggi esistono delle resistenze all’interno e troppo spesso si sente ancora parlare di omosessualità come peccato, citando testi biblici estrapolati dal contesto e analizzati in maniera letteralistica.

Non è questa la sede per un dibattito sul tema fede ed omosessualità ma vale la pena di fare una breve e sola considerazione: le persone omosessuali, transessuali, transgender sono stanche di doversi difendere e giustificare a causa il proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere. Sarebbe il caso che i credenti e le credenti facessero realmente proprio il concetto di amore e che le chiese diventassero un luogo di inclusività. Ecco il punto: non è sufficiente una legge per cambiare completamente, occorre una rivoluzione da dentro, un’accettazione totale del messaggio evangelico: bisogna «mangiarlo» e farlo proprio, farlo diventare pelle, sangue, muscoli del proprio corpo, altrimenti ci si ferma a dichiarazione belle ma non vissute.

Questa legge riconosce diritti alle persone ma il punto fondamentale sarà ora impegnarsi in un cammino per contrastare l’omofobia e peggio ancora l’idea che ormai vada tutto bene: «avete una legge che vi tutela, avete l’unione civile che volete di più?». Proprio questo «avete», questa non-inclusività, questa nascosta sottile linea di demarcazione tra il voi e il noi, come se non facessimo tutti e tutte parte di uno stesso corpo sociale, costruisce dei muri.

Questa legge nasce tronca, zoppa in una sua parte fondamentale, nasce da un cedimento e da una contrattazione tra una parte della politica che voleva una parità reale tra cittadini e cittadine e un’altra che vuole mantenere le differenze e le diversità come strumento di potere nella ricerca di imporre un unico modello sociale e nell’imporre differenze tra unione civile e matrimonio, come il non-obbligo alla fedeltà reciproca (come se la fedeltà si potesse imporre per legge e non fosse una libera scelta dei due coniugi). È monca perché non prevede l’adozione reciproca dei figli e delle figlie dei coniugi e pone problemi di vita quotidiana, forse non enormi e insormontabili, nel caso si presentassero situazione complesse o anche banali come chiedere informazioni sulla salute dei figli dell’altra parte o nel caso, di bambini e bambine, per andare a prenderli a scuola o firmare la giustificazione per una loro assenza. Sembrano banalità ma la vita di tutti i giorni è fatta anche di cose del genere: provate ad andare a prendere un bambino o bambina figli di amici a scuola.

Dunque il cammino dei diritti non è finito, anzi è solo iniziato; tutte e tutti noi cittadini e cittadine dobbiamo seguitare a lottare per l’allargamento dei diritti civili, che non può e non deve essere concesso con paternalistica benevolenza, perché i diritti o sono per tutti e tutte o sono soprusi. L’approvazione del ddl Cirinnà deve spingere la società civile ad aumentare la pressione per il «matrimonio ugualitario», unica via per la vera uguaglianza: parafrasando il molto amato presidente Sandro Pertini, senza uguaglianza non c’è giustizia .

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