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Un’altra Castel Volturno

Per molti Castel Volturno (Caserta) è un non-luogo, sfregiato dal clan dei Casalesi che negli anni ne ha fatto la miglior piazza dello spaccio di stupefacenti e del traffico della prostituzione; territorio dove la malavita organizzata ha gestito il traffico dei rifiuti tossici avvelenando il terreno e il mare; lembo di terra dove è stato esiliato un pezzo d’Africa: nigeriani, ghanesi, liberiani, ivoriani, senegalesi, tunisini, togolesi, marocchini… Sarebbero almeno 10.000 gli immigrati senza documenti. C’è chi parla addirittura di 20.000 persone, la cui maggioranza vive, per 200 euro mensili a persona, in appartamenti abusivi e sopraffollati dove mancano acqua e luce, e non ci sono fogne. Un popolo «senza diritti» che diventa bracciantato assoldato dal capolarato nella raccolta dei campi, manovalanza edile o criminale. Castel Volturno è, come spesso viene descritto, un far-west, un luogo ignorato e abbandonato dalla politica e dallo Stato.

Ma se si ha la pazienza di spingere lo sguardo un po’ più in là di ciò che nell’immediato si presenta dinanzi, e di ascoltare le diverse voci che animano questo territorio, Castel Volturno sa riservare anche qualcos’altro.

Alessandro Buffardi ha 28 anni ed è consigliere comunale con delega ai beni confiscati. Occupandosi della loro mappatura a Castelvolturno, ha scoperto che essa è la prima città in provincia di Caserta e la seconda in tutta la Campania per numero di beni confiscati alla camorra (circa 111). «Un patrimonio immenso! Purtroppo dal punto di vista del loro riutilizzo, la situazione è deprimente: finora sono stati riutilizzati soltanto 7 beni». L’affidamento risulta complesso perché la maggior parte di essi versa in stato di abbandono, e i tempi previsti dalla legge 109/96 per l’uso sociale dei beni confiscati (12 mesi) spesso sono troppo stretti per consentire alle associazioni e ai soggetti del terzo settore di trovare i finanziamenti necessari per mettere in sicurezza il bene e garantirne il riutilizzo. «Ma non ci arrendiamo. A breve ci sarà il bando per l’assegnazione di alcuni immobili che il Comune è riuscito a sistemare, anche con risorse volontarie, perché siamo convinti che soltando creando sviluppo e opportunità di lavoro è possibile offrire un’alternativa al degrado sociale e ai fenomeni criminali». Mi racconta ad esempio, della sartoria sociale «La casa di Alice» – progetto della cooperativa sociale Altri orizzonti, di cui è socio, che sorge nella villa confiscata a Pupetta Maresca – in cui donne africane vittime della prostituzione e donne campane lavorano alla realizzazione di abiti e accessori utilizzando tessuti provenienti dall’Africa. Il laboratorio è occasione di riscatto per la persona che versa in situazioni di disagio socio-economico ma anche per il territorio, nell’ottica dell’integrazione tra diverse culture. «Oggi la convivenza tra la comunità di stranieri e gli italiani è più tesa, come un po’ in tutta Italia, non solo poiché c’è chi specula sulla questione per fini politici, ma anche perché la crisi colpisce tutti, generando una sorta di guerra tra poveri. È solo offrendo alternative economiche che si può combattere la criminalità, la povertà, l’intolleranza e l’emarginazione presenti sul territorio», continua Buffardi. Qui servizi ordinari come: i trasporti, gli asili nido, le scuole attrezzate, la gestione del verde pubblico, le infrastrutture pubbliche, mancano quasi del tutto, ed è anche per questo che molti, soprattutto i giovani, decidono di andar via. Perché invece sei ancora qua? Chiedo a Buffardi. «Castel Volturno è casa mia e voglio creare il mio futuro qui. Certo il degrado esiste ma questo paese ha anche importanti risorse che devono essere valorizzate dalle istituzioni locali e centrali. Ci sono 111 beni confiscati, se in ognuno di essi venisse creata una cooperativa che dà lavoro ai giovani, sarebbe una bella risposta alla disoccupazione. E poi ci sono il mare, le risorse naturali: abbiamo 27 Km di pineta nella quale sono presenti prodotti come i pinoli e il tartufo bianco che fino ad oggi sono stati speculati abusivamente, e che invece possono diventare prodotti di eccellenza sul mercato locale e nazionale. La mia speranza è di poter vivere e lavorare nella mia terra, e su questa speranza fondo il mio impegno nella politica e nel volontariato».

È nel lavoro di volontariato che Alessandro ha conosciuto Davide Malaguarnera, dal 2012 pastore della chiesa avventista di Castel Volturno. Insieme alla moglie e al figlio di 3 anni sono gli unici italiani della comunità, formata per il 90% da ghanesi. Cosa significa essere pastore in un posto come Castel Volturno?

«La sfida più grande per me è garantire i diritti primari ai miei fratelli e sorelle di chiesa. Mi occupo di questioni pratiche come guidarli nelle procedure per il permesso di soggiorno, organizzare corsi di lingua italiana, assicurare loro l’accesso al servizio sanitario». Mi spiega che gli africani pongono in genere tante resistenze a farsi curare dai medici e negli ospedali italiani. «Gli stranieri – molti dei quali irregolari, praticamente invisibili – hanno paura e non si fidano delle strutture italiane perché circolano strane storie riguardo al traffico di organi. Per fortuna in questi anni siamo riusciti ad assistere molte persone grazie alla fruttuosa collaborazione con l’ospedale Villa Betania a Ponticelli (Na) che, essendo una struttura evangelica, li tranquillizza molto».

Un ministero pastorale, dunque, che si incarna soprattutto nell’aiuto agli ultimi. «Nell’incontro con loro sono io che ricevo molto. La mia stessa fede è contagiata dal sorriso, con cui questi miei fratelli e sorelle affrontano le difficoltà della vita, sorriso che nasce dalla certezza che Dio è sempre al loro fianco. Sono grato a Dio per questa esperienza, perché essere pastore di una comunità di immigrati è per me motivo di arricchimento umano e spirituale. In un momento in cui, nel nostro paese e in tutta Europa, lo straniero è visto come una minaccia da cui proteggersi alzando muri e chiudendo le frontiere, noi credenti abbiamo il compito, come ci dice il testo biblico, di prenderci cura dello straniero che è in casa nostra perché anche noi siamo stati stranieri in terra straniera. Sono una ricchezza per il nostro paese e per le nostre comunità: in loro incontro una gioia diversa, che proviene dalla semplicità e dalla profondità che viene dall’aver conosciuto il Cristo».

Provo un senso di profonda gratitudine per Alessandro, per i volontari e le donne della Casa di Alice, per Davide e i fratelli e sorelle della sua chiesa, e per tanti e tante altre che ogni giorno si impegnano con coraggio affinché Castel Volturno da non-luogo diventi: una terra che non lascia scappare i propri figli ma sa offrire loro un futuro; un paese che non sfrutta lo straniero ma lo accoglie come una risorsa per il bene comune; un luogo dove l’amore di Dio è testimoniato e la gioia della speranza cristiana vissuta.