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Vivere guardando

La grande depressione americana, una crisi economica e finanziaria che colpì gli Stati Uniti e il mondo a partire dal 1929, produsse una serie di effetti recessivi sul sistema economico e provocò l’impoverimento di moltissimi americani. Un programma governativo per combattere la povertà nel paese coinvolse una fotografa per documentare la vita e il lavoro delle persone nelle aree rurali. È così che nacque una delle fotografie più conosciute della storia: Migrant Mother, immagine scattata a Nipomo, in California, che ritrae una donna di 32 anni madre di sette figli . A scattarla fu Dorothea Lange, una delle prime fotografe le cui immagini arrivano a Napoli in una mostra dal titolo A Visual Life, presso la Galleria Trisorio fino al 15 settembre. Ce ne parla Elga Sanità, responsabile della galleria.

Chi era Dorothea Lange?

«È stata una fotografa americana nata nel New Jersey nel 1895, una delle prime fotografe donne ad affermarsi in questa professione; lei aveva aperto uno studio fotografico a San Francisco a soli 24 anni e poi ha cominciato a viaggiare facendo fotografie. È nota soprattutto per aver documentato la grande depressione americana negli anni ’30. La sua foto iconica è Migrant Mother, diventata il manifesto di quel periodo storico ma che è servita anche agli americani per denunciare quella situazione e ad attirare l’attenzione del governo sulle condizioni di miseria che vivevano i contadini in quegli anni. Il suo lavoro faceva parte di un programma governativo, il Farm security administration, un ente federale che aveva chiesto a Dorothea Lange di documentare queste condizioni di vita e di miseria; un lavoro iniziato anche grazie alla spinta del suo secondo marito, Paul Taylor, un economista che lavorava per lo stesso programma il quale volle che insieme alle sue statistiche ci fossero anche le foto di Dorothea. Le immagini hanno una potenza inaudita perché mostrano la realtà senza bisogno di descrivere a parole e questo ebbe un effetto importante sull’immaginario degli americani che guardarono con occhi nuovi, attraverso quelli della Lange».

Il suo lavoro si è svolto in un contesto storico in cui alle donne era concessa meno facilità di movimento. Quanto ha influito il suo carattere?

«Molto. Lei diceva sempre che voleva “vivere una vita visiva”, affermazione probabilmente influenzata da un suo problema fisico: da bambina aveva avuto la poliomielite e quindi zoppicava. Questa difficoltà di movimento, diceva, la aiutava ad essere invisibile e a catturare meglio l’umanità delle persone che aveva di fronte, ad entrare in relazione in una maniera più profonda. Quasi come un’antropologa. Secondo Dorothea Lange che la macchina fotografica andrebbe utilizzata come se il giorno dopo si dovesse essere colpiti da un’improvvisa cecità. Per lei la macchina era una maestra: guardarci attraverso significava guardare più profondamente le cose».

Sono in corso due mostre sulla stessa artista in questo momento. Come mai?

«Si tratta di una sinergia messa in atto con Gennaro Matacena, curatore del Castello di Postignano in provincia di Perugia, con il quale abbiamo voluto dedicare queste due mostre alla Lange: insieme abbiamo conosciuto sua nipote, Diane Taylor, quando l’abbiamo invitata a Napoli in occasione di Artecinema, un festival di cinema documentario sull’arte contemporanea che, come Studio Trisorio, curiamo ogni anno nel mese di ottobre. Lei ha realizzato un film sulla nonna e abbiamo così riscoperto questa fotografa e ci siamo innamorati di nuovo del suo lavoro, così insieme abbiamo organizzato queste due mostre per dare uno sguardo il più completo possibile sul suo lavoro».

Come si svolge il percorso espositivo?

«Noi abbiamo in mostra 29 fotografie che ripercorrono il suo lavoro tra gli anni ’30 e i ’50. Quelle che sono veramente preziose sono sei: sono alcune fotografie vintage, cioè stampate da lei negli anni stessi in cui le ha scattate. Ci sono questi due percorsi: le stampe da negativi originali e le stampe vintage dove si può vedere come lei lavorasse in camera oscura, dei documenti importantissimi anche per i fotografi che volessero capirne la tecnica».

Il suo scatto più famoso è Migrant Mother, il che ci riporta ancora una volta al tema attuale delle migrazioni. Quale riflessione avete fatto su questo?

«Proprio il fatto che questa foto sarebbe iconica ancora oggi. Questo è quello che ci ha spinto a volerla fortemente in mostra, perché è un manifesto di una condizione che non è superata, anche se le situazioni economiche e l’epoca sono diverse, non c’è molta differenza tra quei migranti americani e quelli che vediamo percorrere oggi l’Europa».

Foto: By Dorothea Lange, Farm Security Administration / Office of War Information / Office of Emergency Management / Resettlement AdministrationThis image is available from the United States Library of Congress‘s Prints and Photographs division under the digital ID fsa.8b29516