schermata_2016-09-09_alle_12

Quelle (sudate) carte fra storia e leggenda

Chi l’avrebbe detto che la storia dei manoscritti medievali era così appassionante? Ai profani l’argomento avrebbe potuto suonare ostico, ma, merito anche della serata introduttiva, la sfida di «fare divulgazione ad alto livello appassionando anche un pubblico di non specialisti» (come ha spiegato Matteo Rivoira aprendo la serata) è stata vinta.

Una buona idea, quella di aprire il convegno numero 56 della Società di studi valdesi (Torre Pellice, 2-4 settembre) con una serata in forma quasi teatrale, con tre oratori (Sergio Velluto, Marina Benedetti e Andrea Giraudo) che si sono susseguiti in una serie di brevi flash, aiutati da un sapiente gioco di luci e ombre nel suggestivo scenario dell’aula sinodale.

Sfida vinta, si può dire, grazie alla capacità degli «attori» di condensare una materia complessa e specialistica in un messaggio chiaro: abbiamo un «piccolo tesoro» (Giraudo), una storia che molte volte dobbiamo «guardare dal buco della serratura» (Benedetti), che si muove fra realtà, leggenda e propaganda, in cui è difficile districarsi rimanere vittime dell’immaginario (Velluto) – o meglio degli immaginari: dei valdesi, degli inquisitori, degli storici che cercarono di ricostruirne le vicende secoli dopo…

Erano diversi anni che la Società di studi valdesi non dedicava il suo annuale convegno al periodo medievale, e l’ha fatto con un tema di rinnovato interesse come i manoscritti valdesi.

Il Convegno è nato infatti sulla scia della pubblicazione della prima serie di sermoni valdesi da parte dell’editrice Claudiana, ma è solo l’ultima tappa (per ora) di un processo lungo, che ha coinvolto molte persone. Ne sono state citate due in particolare: la prof. Luciana Borghi Cedrini, che non ha potuto partecipare come relatrice, e che dieci anni fa, al convegno Heritage(s) dedicato alla prima riflessione sistematica sul patrimonio culturale valdese annunciava il progetto della pubblicazione dei sermoni. Un’iniziativa che ha visto impegnata un’appassionata squadra di trascrittori, traduttori e curatori guidata oggi da Andrea Giraudo e prima da Federico Bo, scomparso improvvisamente nel 2013 a soli 27 anni, che è stato ricordato con affetto e riconoscenza anche in questa sede.

Proprio per fare luce su un doppio cantiere di ricerca in cui si intrecciano due filoni in dialettica e in tensione, quello letterario e quello inquisitoriale, si sono mosse le relazioni dei due giorni successivi.

La giornata di sabato è stata divisa in due sessioni, da un lato i documenti inquisitoriali e dall’altro i testi letterari (sermoni, volgarizzamenti biblici, trattati, poemetti, adattamenti di altri testi), affrontandone le complessità di interpretazione e contestualizzazione, in rapporto a fonti, composizione, localizzazione odierna.

La mattina di domenica ha ampliato gli orizzonti sulla predicazione dei catari (più volte citati nel corso del convegno), chiarendone la differenziazione piuttosto che la continuità con il movimento valdese, con cui spesso erano stati confusi, e concentrato l’occhio sull’analisi dei contenuti e delle forme di alcuni sermoni.

Dalle relazioni sono emersi diversi spunti interessanti, che si potranno ritrovare nella pubblicazione degli atti del convegno:

– le fonti dei manoscritti valdesi, dalla Patristica ai testi hussiti, ai testi «cattolici», in primis il più volte citato Jacopo da Varazze, frate domenicano: che cosa ci dicono della teologia dei valdesi dei primi secoli? Come sono arrivate nelle loro mani e in che forma (opere complete o piuttosto compendii anonomi)? Qual era il rapporto dei valdesi con la cultura chiericale e le sue tecniche comunicative: continuità o rottura?

– la scrittura dei manoscritti: esistevano o no luoghi di studio e copiatura? Dove si trovavano? Chi produceva materialmente i manoscritti? Dobbiamo abbandonare l’idea un po’ romantica del coulege in val d’Angrogna, sicuramente questi luoghi non erano nelle valli valdesi, ma la competenza e la pratica con il testo scritto che emergono dai manoscritti indicano che si trattava di professionisti.

– la ripresa successiva: riscritture posteriori magari di alcuni secoli, note e appunti aggiunti successivamente, che testimoniano un interesse perdurante, piuttosto insolito nel caso di testi giudiziari come quelli inquisitoriali.

Una storia, quindi, raccontata attraverso ciò che c’è nei testi e intorno a essi, attraverso le presenze ma anche attraverso le assenze: che cosa è scomparso… o non è mai esistito? Perché è scomparso o perché si è conservato?

Una realtà da cui emerge una dinamicità inaspettata (che cosa c’è di più statico di un libro, di un faldone?), che rimanda alla dinamicità stessa del movimento valdese, con gli spostamenti instancabili dei barba, delle idee, e naturalmente dei manoscritti attraverso l’Europa, da Embrun a Dublino, Cambridge, Grenoble, Digione, Ginevra, Parigi.

Un dinamismo che si ritrova anche nell’aspetto forse più mutevole di tutti, cioè la lingua. Anche se dal pubblico è stata fatta notare l’assenza di una relazione specifica sulla lingua di questi manoscritti, essa era sottintesa nella maggior parte delle relazioni. Anche a prescindere dalle difficoltà di lettura date dalla grafia o dalla mancanza di punteggiatura, è proprio l’impasto fra latino e occitano, la scelta dell’uno o dell’altro per determinati passaggi o parole a rendere questa lingua così particolare e complessa. Nel caso dei documenti processuali, poi, c’è lo scarto tra la deposizione orale (in occitano), la verbalizzazione dello scriba e il testo in latino del notaio, che poi magari viene ripreso, riadattato, commentato in seguito, da altri. Ma anche nel caso dei sermoni, vari oratori hanno evidenziato un analogo problema, la differenza tra il documento scritto e la performance orale: quello che ci è arrivato era stato scritto prima o dopo? E che rapporto aveva con quanto effettivamente predicato?

Quanto detto ci permette di trarre due conclusioni: da un lato, la fondamentale interdisciplinarietà della materia, su cui devono confrontarsi e lavorare insieme linguisti, storici, teologi, filologi, ma anche studiosi di paleografia, diritto, letteratura, dall’altro (ed è un auspicio oltre che una constatazione) che c’è ancora molto lavoro da fare e molte cose da scoprire!

Immagine: Genève, Bibliothèque de Genève, Ms. l.e. 206, Front cover – (http://www.e-codices.unifr.ch/en/list/one/bge/le0206cc-by-nc.png