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La marcia di Natale per Asia Bibi

Migliaia di cristiani hanno sfilato in una marcia natalizia, lo scorso 18 dicembre a Lahore, in Pakistan. Un avvenimento importante, non privo di pericoli, come ha detto il vescovo anglicano Samuel Azariah, visto l’elevato numero di episodi persecutori nei confronti della minoranza cristiana in Punjab. Una manifestazione che non si teneva da dieci anni, e ancora più significativa se si pensa che in carcere per motivi religiosi è trattenuta da ormai otto anni Asia Bibi, ancora in attesa di giudizio. Una storia, quella di Asia Bibi, che sarebbe ridicola se non fosse tragica: nel 2009 la donna, di fede cattolica, sposata e madre di quattro figli, è finita nei guai per aver offerto a delle donne musulmane dell’acqua di un pozzo da cui avrebbe attinto lei stessa per dissetarsi. La fonte sarebbe quindi stata infettata da lei, in quanto infedele: Asia Bibi ha rifiutato di convertirsi all’Islam per “rimediare” ed è stata quindi accusata di blasfemia per insulti al profeta Maometto. La sentenza formalizzata nel novembre 2010 e successivamente confermata dalla Corte d’appello dopo 4 anni. A ottobre avrebbe dovuto tenersi il terzo e ultimo grado del processo, per cui Asia Bibi rischia addirittura la pena di morte, ma l’udienza è stata nuovamente rinviata con pretesti che rendono evidente l’imbarazzo delle autorità. La sua sarebbe la prima esecuzione in Pakistan di un cristiano accusato di blasfemia.

Un caso che ha mobilitato l’attenzione di associazioni umanitarie di tutto il mondo contro una legge sulla blasfemia ritenuta unanimemente iniqua e che mette in difficoltà le stesse istituzioni pachistane, che sono alle prese con la deriva fondamentalista nel Paese. La marcia è stata un messaggio di solidarietà ad Asia Bibi e agli altri cristiani incarcerati ingiustamente, un piccolo ma significativo segnale di reazione delle chiese locali.

Oltre ad Asia Bibi, al momento sono 17 i condannati per blasfemia rinchiusi nel braccio della morte e decine di altri sono sotto processo, tra cui il 16enne Nabeel Masih, denunciato da coetanei musulmani per avere condiviso su Facebook una foto considerata offensiva. Sotto processo sono anche Anjam e Javed Naz, indagati inizialmente in un caso di truffa e finiti sotto l’accusa di offesa alla fede islamica. 

Immagine: via Flickr