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«Ce l’hai una madre? Va’, torna da lei»

Ci sono biblioteche intere che trattano l’eterno (perché insolubile) problema del male. Sono invece rari i libri che sollevano e discutono il problema del bene. Una di queste rarità è un libro uscito da poco, scritto a quattro mani (ma sembrano due sole) da Gabriella Caramore e Maurizio Ciampa, dal titolo La vita non è il male, che riprende una frase del poeta russo V. Grossman*. Perché non è il male? Perché sebbene il male continui implacabile a imporre la sua presenza seminando ogni giorno odio, dolore e morte («il male torna sempre ad armarsi, reinventando le sue forme; ha una perversa e poliedrica creatività»), pure non riesce a sommergere la vita, a sopraffare del tutto l’umanità che, pur circondata, anzi assediata com’è dal male, riesce a ricordarsi che «esiste il “bene”. Occorre soltanto dargli spazio, respiro, ascolto» (è la frase iniziale e programmatica del libro). Che esista non è un’idea o un’illusione, è un fatto. Ed è un fatto che l’uomo lo può discernere e lo può fare, non lasciandosi vincere dal male, ma vincendo il male col bene, come dice l’apostolo Paolo (Romani 12, 21, p. 170).

Certo, il bene – dicono gli autori – «appare come un enigma», e lo è; quindi è logico chiedersi «da dove viene». Ma il libro non dà una risposta, forse non la vuole dare: dice solo, come vedremo, che il bene viene «attraverso l’altro». La risposta, semmai, se la darà il lettore, a lettura conclusa. Il libro non è un saggio teorico di tipo filosofico sul problema del bene, è invece – come dice il sottotitolo – una riflessione sulle tracce del bene. Queste tracce sono scoperte e descritte in altrettante storie di persone del nostro tempo che, in luoghi, tempi e contesti diversi, hanno praticato il bene, in modi di volta in volta esemplari. Il bene esiste in coloro che lo compiono e diventano così, in questo mondo che affoga nel male, testimoni che il bene è possibile. Le storie contenute nel libro meriterebbero tutte di essere quanto meno riassunte, ma i limiti di una recensione non lo consentono. Una però – quella che più mi ha colpito – desidero citarla: [Pochi giorni prima della Liberazione del 1945], «in un paese della provincia di Parma, una madre salva dal linciaggio il giovane fascista che, qualche giorno prima, aveva ucciso suo figlio, davanti ai suoi occhi affranti che chiedevano pietà (…). Adalgisa, questo era il nome della donna, potrebbe vendicarsi e placare almeno un po’ la ferita ancora sanguinante. Tutti intorno a lei chiedono una giustizia immediata: l’esecuzione del giovane fascista. Tutti l’aspettano, tutti la reclamano (…). Ma Adalgisa sceglie di non moltiplicare l’odio (…). Rompendo un silenzio duro, accigliato, dirà pochissime parole, una sola scarna frase (…) che resterà ben impressa nella memoria dei presenti, come scolpita. «Ce l’hai una madre? Va’, torna da lei» dirà Adalgisa rivolgendosi direttamente all’assassino (…). Alla madre dell’assassino, Adalgisa non vuole infliggere il dolore che lei ha subìto (…). Nessuna esecuzione. La folla lascia la piazza delusa».

Leggendo questa storia, non si può non pensare a quel che disse Gesù all’adultera: «Non ti condanno. Va’…». Adalgisa come Gesù: perdonando il fascista, spezza la catena dell’odio e, facendo il bene, fa fiorire la vita invece di seminare altra morte.

Come questa, altre storie compongono la sostanza di questo libro, che non esito a definire «evangelico». Non tanto per le frequenti citazioni (dalla Genesi, Isaia, Geremia, Giobbe, Matteo, Paolo) e reminiscenze bibliche, come quando il bene è definito «un soffio che viene dall’altro» e si pensa subito al soffio dello Spirito di cui Gesù parla a Nicodemo – soffio che però lì non viene «da un altro», ma da altrove. Il libro è «evangelico» soprattutto per la tesi che sostiene e che può essere riassunta in due affermazioni. La prima è che il bene ci raggiunge attraverso «la presenza di un altro di fronte a noi. (…). Da un altro viene il bene (…). Nasce in relazione, il bene. E di relazione si nutre». Tutto ciò è molto evangelico: ciascuno è una benedizione per l’altro attraverso una relazione d’amore. Secondo l’Evangelo, il bene che riceviamo o che facciamo è indissolubilmente legato al prossimo e alla relazione con lui.

La seconda affermazione gli Autori la riprendono da Hannah Arendt, che non parla solo della «banalità del male», ma anche della «profondità del bene», sostenendo che «solo il bene ha profondità». Anche questo è un discorso evangelico perché, ascoltandolo, non si può non pensare a quel che dice l’apostolo Paolo quando parla delle «profondità (o «cose profonde») di Dio» (I Corinzi 2,10). «Solo il bene ha profondità» perché tutte le cose importanti hanno profondità. Se non l’avessero, non sarebbero importanti. «Profondo è il mondo – canta Zarathustra – profondo il suo dolore, ma più profondo del dolore è la sua gioia; ogni gioia vuole profonda, profonda Eternità». Profondo è il mistero della vita, profonda è la verità, profonda è l’anima umana: «Da luoghi profondi io grido a te, o Eterno!» (Salmo 130, 1). Chi sa qualcosa di queste profondità, sa qualcosa di Dio. La profondità del bene è parente della profondità di Dio. Perciò a chi fa esperienza, diretta o indiretta, della profondità del bene, Gesù oggi direbbe: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Marco 12, 34).

Nel 1934 un pastore e teologo della Chiesa riformata di Francia, Wilfred Monod (1867-1943) pubblicò tre grossi volumi, di quasi 1000 pagine complessive, intitolati Il problema del bene. In un suo sermone del 1921 con lo stesso titolo, Monod rivolse ai suoi ascoltatori questa domanda: «Ammettiamo che il Male e il Bene siano entrambi inspiegabili, qui sulla terra. È però un fatto che il problema del male ci affligge, mentre il problema del bene ci consola. E allora, perché restare ipnotizzati dal primo?». Il pregio del libro di Gabriella Caramore e Maurizio Ciampa è che ci aiuta a non restare ipnotizzati dal male, a credere nella possibilità del bene e a lottare con noi stessi per vincere il male con il bene.

* G. Caramore – M. Ciampa, La vita non è il male. Cinque capitoli di riflessione sulle tracce del bene, Milano, Salani, 2016, pp. 247, euro 14,90.

Immagine: Di Stéphane Magnenat – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4530450