bibbia

Occidente senza utopie

«Allora il Signore scese dalla nube e parlò a Mosè»: il brano del libro dei Numeri dove si parla dello Spirito che si posa sui settanta anziani e li fa profetizzare (Num.11, 25-29) è per Paolo Prodi, recentemente scomparso, il punto di partenza della riflessione sulla crisi della società occidentale, o meglio sul declino di due categorie fondamentali: profezia e utopia, riflessione affiancata da quella di un filosofo, Massimo Cacciari (*).

Proprio questo incipit biblico mi ha incuriosito a leggere questo breve, ma denso e a volte difficile saggio (specialmente in Cacciari). E un altro stimolo alla lettura è stato anche il fatto che utopia, democrazia, profezia, laicità si sono intrecciate nella vicenda di alcune generazioni di protestanti, come la mia, che ha vissuto forti passioni verso il futuro, potendo permetterselo, mentre oggi si moltiplicano le persone senza un presente sicuro che consenta non dico di progettare un futuro ma almeno di poter guardare e pensare in avanti.

In questi tempi grigi siamo stati chiamati a votare frettolosamente sulla Costituzione,dunque anche sulla democrazia e sul potere. Il saggio di Prodi aiuta a riflettere su come sia stata la profezia, per prima, a esprimere una critica del potere, che ha aperto lo spazio di libertà per la creazione della democrazia. E’ lo spirito profetico che, per la prima volta, in Israele, ha separato il sacro dal profano rompendo l’identificazione politico-teologica tra potere e legge. In Israele la “legge” viene sottratta al potere e riposta nella sfera del trascendente; con l’idea del Patto, Iahvé diventa direttamente il garante della giustizia della sfera sociale e politica. Mentre il Faraone incorpora la giustizia nella sfera sociopolitica sottoposta alla sua sovranità, in Israele, al contrario, essa viene trasposta nella sfera teologica in diretta dipendenza da Dio. La sovranità e il sacro si separano (laicità), rendendo possibile la resistenza agli abusi del potere.

Il filo conduttore del saggio di Cacciari è invece l’utopia. Oggi se mai se ne parla è per dire che è un sogno, che bisogna essere realisti, che non si può fare che così (ad esempio non c’è alcuna altra strada per l’economia che il neoliberismo…).

Il filosofo ricostruisce la storia concreta delle utopie, che vanno intanto distinte dalle mitologie antiche e moderne di ritorno alle origini. L’utopia si strappa dal passato per radicarsi nel proprio tempo con la potenza di un progetto volto al futuro: Tommaso Moro. la Città del Sole di Campanella, l’Atlantide di Bacone, la scienza, la tecnica, l’organizzazione economica, l’incremento del sapere, la tolleranza religiosa, la società armonica e senza conflitti dei grandi utopisti ottocenteschi (Fourier e Proudhom), che si scontrerà con la critica radicale di Marx, con le guerre mondiali, poi i totalitarismi, le nuove correnti negli spazi globalizzati.

Per Cacciari nel pensiero rivoluzionario del Novecento l’utopia ha cercato di riattingere a uno spirito profetico, ma la via per il futuro è sbarrata. Ormai l’idea di rivoluzione implode su stessa insieme a quella di riforma.

Non è la prima volta che Cacciari propone un dualismo assoluto, da un lato il politico, sempre più ridotto a tecnica amministrativa, dall’altro l’attesa di un Dio impossibile… Solo l’irrompere del divino nella storia può produrre novità radicali.

Che cosa potrebbe rispondere un credente protestante, un teologo, una pastora 500 anni dopo Lutero? Che cosa vuol dire oggi la preghiera “venga il tuo Regno”?

(*)MASSIMO CACCIARI, PAOLO PRODI, Occidente senza utopie, il Mulino, 2016