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Iraq, primi aiuti per 1000 famiglie

La battaglia per la liberazione di Mosul, occupata da oltre due anni dal Daesh, o gruppo Stato islamico, è entrata nel vivo circa tre mesi fa, quando l’esercito iracheno ha cominciato a stringere sulla città e sulle aree circostanti. All’inizio della settimana, i comunicati governativi annunciavano che la riva est del fiume Tigri si trovava ormai completamente sotto il controllo dell’esercito iracheno, e che la liberazione della zona ovest era ormai avviata.

Questi anni di occupazione e questi mesi di guerra non sono privi di conseguenze per la popolazione civile, che ha dovuto abbandonare in massa Mosul, prima della guerra una tra le più importanti città della regione con il suo milione e mezzo di abitanti, andando a vivere nei campi che sono sorti tutto intorno, a una distanza di 20km circa. Si tratta di luoghi nei quali la vita è costantemente in bilico, e nei quali c’è bisogno di sostegno urgente.

Per provare a rispondere a questa emergenza, la scorsa settimana sono partite le distribuzioni di aiuti umanitari curate dall’associazione Un ponte per… con il sostegno dell’Otto per Mille della Chiesa valdese e della Provincia Autonoma di Bolzano. Secondo Raid Michael, Rappresentante di Un Ponte Per… in Iraq, «questi sfollati erano completamente privi di aiuti, perché nessuno arriva nelle zone liberate dall’esercito iracheno».

Quante persone sono state aiutate in questa prima fase?

«Per capire quante persone fossero in condizioni di necessità abbiamo fatto una valutazione dei bisogni andando a incontrare le tante famiglie sfollate da Mosul nei vari villaggi intorno alla città, a una ventina di km dai luoghi in cui si combatte. Ci siamo resi conto che c’era bisogno di portare aiuti a circa 1.000 famiglie, pari a quasi 6.000 persone. Abbiamo anche fatto delle valutazioni per vedere quante famiglie sono arrivate ultimamente, diciamo nell’ultimo mese, sempre in fuga da Mosul, per cui ci siamo incontrati vicino a Qaraqosh, nelle zone già liberate».

Un Ponte Per… aveva già avviato sin dal 2013 la distribuzione di kit di alimenti essenziali e altri utili a fronteggiare l’inverno nei campi profughi nati con l’aggravarsi della guerra in Siria e Iraq. In questo caso parliamo dello stesso tipo di aiuti?

«Non sono esattamente le stesse cose, proprio perché, avendo prima incontrato le famiglie che erano in condizioni di necessità, ci siamo resi conto che per esempio non avevano materiali igienici per pulire e per fare varie attività quotidiane, quindi abbiamo pensato di portarli. Ci sono poi anche qui gli aiuti per la winterization, come vestiti e coperte, e poi strumenti per poter cucinare: abbiamo portato un fornello che funziona con kerosene».

L’area intorno a Mosul è una zona contesa e nella quale si combatte. Tutto questo per voi significa dover attraversare aree controllate da gruppi differenti e anche dover dialogare con diverse realtà. Questo aumenta la difficoltà nel distribuire gli aiuti?

«La realtà è molto complicata. Lì si sta svolgendo un conflitto militare e politico insieme: c’è l’esercito iracheno che controlla parte di queste zone, mentre invece i peshmerga, ovvero i combattenti dell’esercito del Kurdistan, ne controllano altre, e quindi abbiamo spesso difficoltà ad attraversare i vari checkpoint, perché c’è sempre bisogno di un permesso differente. Io però sono di Qaraqosh, che è stata liberata dal Daesh due mesi fa, e quindi conosco tutti i diversi gruppi sul territorio, e grazie a queste relazioni e comunicazioni con l’esercito iracheno e con i peshmerga possiamo portare questi aiuti».

Negli anni nell’area di Mosul, il Governatorato di Niniveh, sono stati creati dei progetti di inclusione e di coinvolgimento della società civile che sono utili per immaginare un futuro. Queste esperienze sono utili oggi per fronteggiare l’emergenza?

«Questi progetti di peacebuilding e di cultura che abbiamo sviluppato insieme con i nostri donatori, come l’Otto per mille valdese e altri che ci hanno aiutato molto, siamo riusciti a costruire un dialogo tra le minoranze che stanno in queste zone. Era molto importante portare avanti questa sfida di mettere tutti insieme perché c’erano molte divisioni. Per esempio, per i cristiani che stanno nelle zone della piana di Niniveh e che sono circondati da villaggi di musulmani sunniti, è stato difficile capire che anche i musulmani fuggivano dal Daesh, esattamente come loro; prima che si incontrassero pensavano che invece tutti aiutassero lo Stato islamico, e quindi pensavano che fossero persone come loro ad aver confiscato e bruciato le loro case, oppure ad avergli portato via ogni bene. I nostri collaboratori di Un Ponte Per… provengono dalle varie minoranze locali, da quella yazida a quella cristiana, dalle popolazioni arabe a quelle kurde, e questa diversità, questa ricchezza, ci aiuta a capire la realtà sia nelle zone che sono sotto il controllo del Daesh, sia in quelle liberate, così come nella città di Mosul, dove abbiamo molte persone che cercano di lavorare».

Nel momento in cui la battaglia di Mosul dovesse terminare, l’emergenza umanitaria potrebbe ridursi o invece dovrà durare ancora per un bel po’ di tempo, visti i danni che sono stati fatti?

«Dopo Daesh diventerà probabilmente ancora più difficile, perché in questo momento la gente non può ancora capire cosa succederà in futuro, è difficile capirlo perché la battaglia continua, ma alla fine della battaglia ci si renderà conto che Daesh ha distrutto le case e tutti gli edifici importanti e che anche i bombardamenti da parte dell’esercito iracheno hanno provocato gravi danni. Ci vuole un grande lavoro da parte delle organizzazioni umanitarie per portare aiuti, ma c’è anche bisogno di capire la realtà per fare in modo che chi è scappato possa tornare a casa, e questo richiede ancora più forza. Ci sono tanti villaggi che sono ormai vuoti, perché le persone si sono spostate tutte nei campi profughi; quando torneranno avranno bisogno di aiuti, perché dovranno ricominciare la loro vita un’altra volta».

Fino a quando dureranno le distribuzioni?

«La settimana prossima abbiamo in programma nuove distribuzioni in zone come Bakhdida e ci sono villaggi di sunniti, scappati da Daesh, che hanno bisogno di aiuti. Abbiamo già visitato varie zone e abbiamo fatto delle valutazioni per individuare i loro bisogni, quindi nei prossimi giorni potremo occuparcene. Grazie ai donatori che ci hanno aiutato a fare questo lavoro».

Immagine: Un ponte per…