rostan2

Processo Condor, una storia anche italiana (e valdese)

Il 17 gennaio la corte d’assise di Roma ha pronunciato la sentenza che ha chiuso il processo Condor, così chiamato dal nome del terrificante Piano Condor, operazione poliziesca-militare tesa a eliminare fisicamente ogni opposizione ai regimi, fossero essi sindacalisti, studenti, operai, intellettuali, donne e uomini della sinistra, in molti paesi sudamericani (soprattutto in Bolivia,Cile, Perù, Argentina, Uruguay) negli anni ’70- ’80, con l’appoggio della Cia.

Carcerazioni forzate, torture,assassinii: tutti ricordano almeno il nome desaparecidos, gli scomparsi o più esattamente fatti scomparire ( in molti casi gettando i corpi in mare dagli aerei), e la instancabile lotta delle madri ( e nonne) della Plaza de Mayo alla ricerca dei familiari.

Un processo, il Condor,che ha potuto svolgersi nel nostro paese perché ha riguardato 43 vittime di origine italiana residenti in Sud America e ha visto sul banco degli imputati 27 persone: in pratica i vertici politici e militari di Cile, Argentina, Bolivia, Perù e Uruguay. Otto condannati all’ergastolo, fra cui Luis Garcia Meza Tejada, ex presidente della Bolivia, Francisco Morales Cerruti Bermudez, ex presidente del Perù, e Pedro Richter Prada, ex primo ministro del Perù. Diciannove assoluzioni. Le condanne certificano da un punto di vista giudiziario l’esistenza del piano Condor anche se lasciano scontente le molte associazioni e i privati cittadini che in tutti questi anni non hanno smesso di denunciare le atrocità di cui erano stati vittime o spettatori.

Ma in Italia manca ancora il reato di tortura per cui agli imputati è stato contestato il solo omicidio plurimo aggravato; per il sequestro di persone è già sopraggiunta la prescrizione.

In quasi due anni di processo si sono alternate numerose e drammatiche testimonianze di sopravissuti chiamati a ricordare gli orrori delle violenze sistematiche, “di Stato”, che hanno patito insieme a molte decine di migliaia che non hanno più fatto ritorno a casa.

Uno di questi testimoni, Lewis Rostan, docente uruguaiano, è stato ospitato alle Valli valdesi dove ebbe alcuni incontri, partecipando anche al culto nel tempio di Pomaretto, dove raccontò la sua storia, fatta di vent’anni di carcere, dove sopportò anche la tortura.

rostan.jpg

Con Aldo e Fernanda Comba per parlare della Chiesa valdese sotto la dittatura

Anche i nostri fratelli valdesi del Sud America patirono il clima di terrore di quegli anni. La Chiesa valdese del Rio la Plata non fu direttamente accusata, ma certamente patì la dittatura che provocò una profonda divisione, non solo politica, nelle varie comunità. Ad un certo punto fu chiuso il giornale Mensajero Valdense , diretto all’epoca dal pastore Carlos Delmonte. Altri nella chiesa valdese non volevano apparire troppo critici verso la dittatura (non dimentichiamo mai che anche nella chiesa valdese italiana, sotto il fascismo e durante la Resistenza non ci furono solo quelli che stavano con i partigiani aiutandoli, ma anche i favorevoli a Mussolini e soprattutto chi temeva di prendere una posizione netta per paura – non certo esagerata – delle rappresaglie contro la popolazione valdese).

Abbiamo da poco ricordato, con la giornata della memoria, l’orrore nazista e la tragedia dei campi di detenzione e sterminio. La memoria comprende anche il ricordo attivo dell l’Operazione Condor perpetrata dalle dittture sudamericane perché ad ogni latitudine valgono le parole di Primo Levi: “Meditate che questo è stato”.

Immagine: Lewis Rostan con Marco Rostan in visita a Pomaretto da Marianne e Sergio Ribet