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«Noi contro loro»: il rapporto 2016-2017 di Amnesty

«I profondi cambiamenti politici del 2016 hanno messo in evidenza quanto la retorica dell’odio possa far emergere il lato oscuro della natura umana. La tendenza mondiale verso politiche sempre più aggressive e divisive è stata ben illustrata dalla velenosa retorica utilizzata da Donald Trump nella sua campagna elettorale. Tuttavia, anche in altre parti del mondo i leader politici hanno puntato sulla paura, sulle accuse e sulla divisione per conquistare il potere», dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International presentando il rapporto annuale sui diritti umani uscito in questi giorni e  edito da Infinito edizioni.

«Questa retorica sta avendo un impatto sempre più forte sulle politiche e sulle azioni di governo. Nel 2016 i governi hanno chiuso gli occhi di fronte a crimini di guerra, favorito accordi che pregiudicano il diritto a chiedere asilo, approvato leggi che violano la libertà di espressione, incitato a uccidere persone per il solo fatto di essere accusate di usare droga, giustificato la tortura e la sorveglianza di massa ed esteso già massicci poteri di polizia».

Noury, lei è il portavoce di Amnesty International, dal Rapporto di Amnesty 2016-2017 emerge una situazione davvero allarmante in tema di diritti umani?

«Il fatto che il Rapporto si sia occupato di 159 paesi evidenzia come, in tre quarti del nostro pianeta, siano presenti gravi problemi in materia di diritti umani. Nello specifico abbiamo analizzato, e appurato, che in 36 paesi, ad esempio, si è respinto illegalmente, ossia si è deciso di rimandare nelle zone di guerra migliaia di persone che proprio da quei luoghi fuggivano, violando così un principio fondamentale per tutti i richiedenti asilo, quello di non essere rispediti nelle mani degli aguzzini; poi abbiamo preso in considerazione 22 paesi nei quali abbiamo riscontrato l’uccisione di molti difensori dei diritti umani e, altri 23 paesi poi, nei quali sono stati compiuti crimini di guerra. Emerge quest’anno un dato dirompente: la sofferenza di tutte quelle persone che avendo avuto la fortuna di rimanere in vita, e di essersi sottratte alle violenze fisiche e psicologiche, si sono poi viste respingere».

Oggi emergono «politiche di demonizzazione che alimentano divisioni e paure», cosa intendete dire?

«Che, di fronte alle necessità di molte persone in fuga e bisognose di aiuto, spesso le risposte di tanti governi sono  invece di chiusura attraverso i respingimenti o la costruzione di muri e limitazioni alla circolazione e l’aumento di controlli. Poi, è aumentata la tendenza a dirigersi verso accordi tra polizie internazionali e con accordi politici pericolosi con la sponda Sud del Mediterraneo e dell’Africa Subsahariana; iniziative nate con l’obiettivo di “controllare” i flussi migratori. Se c’è qualcosa che favorisce questa stretta sui diritti, e in particolare sui diritti di richiedenti asilo e rifugiati, è proprio l’aumento di azioni e discorsi che possiamo definire populisti e xenofobi, divisivi e intrisi di una retorica velenosa, quella del “noi contro loro”. Il 2016 è stato l’anno in cui il cinico uso della narrativa del “noi contro loro” e incentrata sulla demonizzazione l’odio e la paura ha raggiunto livelli che non si vedevano dagli anni Trenta dello scorso secolo. Una retorica che ha caratterizzato campagne elettorali e politiche di governo».

E l’Italia?

«Ovviamente la nostra analisi si è soffermata su figure quali Trump, Erdogan, Orban, persone arrivate al potere dopo aver gestito campagne elettorali basate proprio su quel tipo di retorica populista e divisiva. In Italia non siamo ancora giunti a quei livelli di campagna elettorale, pesante, come sta avvenendo in Francia, ma presto potrebbe svilupparsi anche da noi e i segnali già ci sono. Molti discorsi, comizi, interventi pubblici della Lega Nord di Salvini, o di Fratelli d’Italia, guidati dalla Meloni, vanno in quel senso. Auspichiamo, invece, che la prossima campagna elettorale possa essere istituzionale, come dovrebbe essere, e che possa utilizzare linguaggi consoni, sensati e civili senza messaggi “incendiari”».

 Come avete suddiviso il rapporto quest’tanno?

«Con una panoramica su 159 paesi, suddividendone i capitoli per aree geografiche che coincidono con i cinque Continenti e preceduti da panoramiche regionali».

Nel rapporto sono contenute solo le violazioni dei diritti umani o avete segnalato anche esempi di buone pratiche?

«Essenzialmente il rapporto denuncia le violazioni dei diritti umani. Vi sono, tuttavia, alcune situazioni positive, penso ad esempio alle disponibilità di governi come quello tedesco e canadese che hanno deciso di accogliere gruppi significativi di richiedenti asilo e ancora le buone leggi e i cambiamenti avvenuti in molti paesi, ad esempio la legge sul caporalato approvata in Italia o l’apertura di corridoi umanitari e sempre in Italia l’approvazione della legge sulle unioni civili».

Perché è importante leggere il rapporto di Amnesty?

«Perché la maggior parte delle informazioni contenute al suo interno non sono facilmente reperibili e ritenute scomode. Perché è in grado di far conoscere e illuminare le periferie dimenticate del mondo. Perché più si conosce la situazione dei diritti umani nel mondo, più si può comprendere la vergognosa risposta che, oggi, molti governi di paesi d’approdo e di possibile salvezza per molti rifugiati, invece attuano. Credo sia anche utile per far conoscere molte storie di coraggio, perché ci sono persone che lottano per i diritti, anche i nostri, e che per questi diritti perdono la vita tra sofferenze e torture. Sono storie di coraggio e di resistenza».

Per il secondo anno avete pubblicato il rapporto con Infinito edizioni.

«Questo rapporto deve poter raggiungere tutti e dunque era necessario garantire una distribuzione. L’editore Luca Leone è uno strenuo difensore e attivista dei diritti umani e le sue pubblicazioni ne sono l’evidente segnale».

Immagine: via Pixabay