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Più vicino a Dio?

Ci risiamo con la mistica della montagna. In occasione dei funerali di persone perite durante un’ascensione o travolte da una valanga, come successo giorni fa a tre giovanissimi (una maestra di sci e una guida con un amico) sul Monte Chaberton, il sacerdote non si è trattenuto dalla solita «mistica alpina»: «Le tre vittime – ha detto – amavano molto la montagna… scalare le montagne educa alla fatica e all’impegno, l’ascensione è come una liturgia perché ci conduce sulla cima dove Dio è più vicino. Concetto fortemente diffuso, sul quale sono state scritte centinaia di pagine, sia da alpinisti che da filosofi, teologi, scrittori».

Idea assolutamente priva di senso, come lo sono le croci sulla cima di molte montagne. Dunque sul Bianco avremmo un Dio più vicino che sul Monviso e non parliamo dell’Everest da dove quasi si toccherebbe il Paradiso…

Certo salendo spesso ci appare la meraviglia del creato, ma nessuna liturgia. Per un credente l’opera divina si esprime altrettanto nelle ali di una farfalla, nei petali dei fiori, nei coralli del mare. Ma tanto più chi ha fede sa che non vi è alcun posto fisico (ma neanche nessuna opera buona, nessun mestiere, nessun impegno sociale), che porti «più vicino a Dio» o al Cielo. Tra l’altro qui il teologo dovrebbe spiegare che l’idea di «ascendere» verso Dio è una falsa religione, speciamente per i cristiani: non è l’umanità, le persone che «si innalzano» verso Dio, ma è Dio che si fa carne e incontra l’umanità. Ma senza andare nel difficile, diciamo che l’alpinista in vetta non è più vicino a Dio di chi nuota o fa immersioni in mare.

C’è un altro modo di parlare della montagna dopo un incidente grave come quello dello Chaberton. È quello di dire che la montagna è crudele, a volte dura. Specialmente dopo un incidente come quello, quando i coinvolti sono giovani, ottimi conoscitori della montagna e dei suoi rischi, perfettamente attrezzati e allenati. La montagna è montagna e basta, chi ci va a piedi, ma soprattuto con gli sci e scende per canaloni ripidi conosce il rischio e mette in conto la morte. Sa benissimo che può partire una valanga, ma ci va lo stesso.

Erano tutti esperti, si dice: il problema è che la valanga non lo sa.

 

Foto: Samuele Relev, Monte Orsiera