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«Barcellona ci dice che sui migranti non stiamo facendo abbastanza»

A metà febbraio oltre 160.000 persone hanno manifestato a Barcellona per sollecitare il governo centrale all’accoglienza dei richiedenti asilo in Spagna: nel settembre del 2015, infatti, il paese si era impegnato ad accogliere 17.337 rifugiati nei successivi due anni, ma a oggi soltanto per 1.000 persone è stato possibile completare il percorso. Nel Paese, che possiede alcuni confini sul territorio africano caratterizzati da muri e barriere, periodicamente scavalcate con molta sofferenza dai migranti, la necessità di rispettare gli accordi e garantire un’accoglienza è sempre più grande. Ne parliamo con Alfredo Abad, pastore della Iglesia Evangélica Española e presidente del Cepple, la Conferenza delle Chiese protestanti dei Paesi latini d’Europa, che vive a Barcellona.

La manifestazione a favore dei rifugiati del 18 febbraio ha avuto molta eco. Possiamo considerarla una sorpresa in un momento storico in cui la tendenza è quella di chiudere le frontiere?

«Sì. La contraddizione è che il governo spagnolo ha disatteso gli accordi con l’Unione europea sull’accoglienza dei rifugiati, e la popolazione ha mostrato il proprio disaccordo, anche perché sia la società civile, sia gli enti territoriali, stanno mettendo a disposizione spazi che sono vuoti, mostrando una grande reazione cittadina».

Negli ultimi dieci anni Barcellona è stata un laboratorio di trasformazione, con progetti come quelli contro i “rumores”, le notizie false e denigratorie sugli stranieri, o le attività di arte civica. In questa prospettiva possiamo dire che queste manifestazioni sono in continuità con una storia che è differente rispetto alle altre città e agli altri Paesi?

«È vero che nel percorso dell’accoglienza dei rifugiati Barcellona è all’avanguardia, però in realtà è una situazione condivisa con i governi locali, tanto a Valencia come a Madrid, e con alcune regioni, come i Paesi Baschi, dove si sono espressi a favore dei corridoi umanitari».

Qual è il lavoro che le chiese evangeliche, e più in generale le chiese cristiane, portano avanti con i rifugiati a Barcellona?

«Si fa soprattutto un lavoro di secondo livello, che significa che lavoriamo più che altro sull’integrazione. Il lavoro di primo livello invece lo facciamo con un’associazione composta da sindacati, partiti politici e anche da comunità religiose, la Comisión Española de Ayuda al Refugiado, e con loro diamo assistenza giuridica e sociale per l’integrazione sul lavoro e per il processo di gestione delle richieste d’asilo. L’aiuto che stiamo offrendo come chiesa, insieme alle comunità religiose, sia cattoliche sia protestanti, è mirato all’integrazione e al sostegno per le necessità di base».

Durante la manifestazione si è chiesto al governo spagnolo di fare il suo dovere nel portare avanti il piano di redistribuzione dei rifugiati. Come ha risposto l’esecutivo guidato da Rajoy?

«Il governo spagnolo ha sempre tenuto un atteggiamento molto ipocrita, da un lato affermando di aver compiuto una scelta politica, ma dall’altro evitando di portarla avanti. Ora però la posizione del governo sta cominciando a rompersi: finora aveva sempre detto che non si poteva fare di più, che non si potevano inserire più persone nei progetti di accoglienza, ma l’azione della popolazione sta smuovendo questa posizione. Le manifestazioni di Barcellona servono per fare in modo che Rajoy riconosca che non si sta facendo abbastanza».

Quali saranno le prossime azioni della popolazione e delle organizzazioni sul territorio?

«Tra i movimenti sociali e le Ong c’è la volontà di ripetere questa manifestazione a Madrid e a Valencia. Si stanno organizzando anche dal punto di vista religioso e interreligioso per avere un peso maggiore e di più alto livello, per esempio con le gerarchie della chiesa cattolica. In questo senso sono interessanti le parole dell’arcivescovo di Madrid, Carlos Osoro Sierra, che ha affermato che anche la Spagna dovrebbe creare dei corridoi umanitari come quelli che vengono fatti in Italia dalla Tavola valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio».

C’è la possibilità di vedere attivati in Spagna dei corridoi umanitari cristiani, di tutte le chiese, entro la fine dell’anno?

«Non lo vedo possibile a causa della negazione del governo spagnolo, che porta avanti una politica di chiusura delle frontiere molto miope. In realtà la comunità di Sant’Egidio, così come le chiese protestanti stanno portando avanti questa iniziativa da molto tempo per applicarla in Spagna. Noi siamo stati con la Fcei in Marocco per cercare contatti, ma la realtà è che il governo spagnolo ha sempre negato di considerare questa possibilità, quindi nel breve periodo non vedo possibile che si attivino i corridoi».

Con una situazione europea che cambia e che va nella direzione di chiudere le frontiere, qual è la priorità? Mettersi insieme per fermare questo processo?

«Esattamente. Non solo le chiese cristiane, ma anche le altre comunità religiose sono d’accordo per lavorare per un’accoglienza che sia veramente una costruzione di pace. Una vera responsabilità internazionale richiede un’accoglienza decente, quello che l’Europa attualmente non sta facendo».

Il problema è di disponibilità economica o di altra natura?

«Fondamentalmente sono problemi di volontà politica. Ho saputo la notizia che la Tavola Valdese e Sant’Egidio hanno trasportato e accolto più rifugiati di 15 paesi comunitari. Questo è incomprensibile e non c’è volontà di prendersi effettivamente la responsabilità internazionale, non è solo una questione di qualità, ma di giustizia. Stiamo violando gravemente gli accordi internazionali. Speriamo che cambi la coscienza dei nostri governanti a favore di ciò che è giusto».

Immagine: via Pressenza in Creative Commons Attribution 4.0 International license.