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Chiesa di Scozia, non solo un titolo in prima pagina

 Il 26 maggio 2017, giornata di chiusura della General Assembly della Church of Scotland, l’edizione del mattino del The Times titolava in basso, immediatamente dopo la pagina centrale sull’attentato di Manchester, «La Chiesa si scusa per il pregiudizio e apre la strada ai matrimoni gay». Così vengono sintetizzati quattro anni di dibattiti in una chiesa storicamente conservatrice e un percorso che da un punto di vista ecclesiale, se nuovi intoppi non insorgeranno, non si concluderà prima di sei, dopo grandi polemiche, incomprensioni e lotte.

La General Assembly è il momento di massima espressione delle chiese di Sua Maestà, le cui delegazioni cambiano di anno in anno (pastore e pastori inclusi) in base a un principio di turnazione. Una chiesa fatta da tante chiese, ognuna con una storia territoriale diversa e senza una teologia comune, unite da un sistema presbiteriano che le lega alla corona reale. Sono questi, anni caratterizzati da un tempo di verifica: quale voce comune per la Chiesa di fronte a tanta diversità? Una diversità che si interfaccia a enormi squilibri sociali e che vede in crescita costante il fenomeno degli homeless (senza tetto) con un incremento nel 2016 del 17% dei bambini in strada. Aumentano le famiglie costrette a far uso dei banchi alimentari presso le chiese per sfamare i propri figli in un sistema che è molto, troppo costoso. Non sono pochi i genitori che scelgono di non far frequentare la scuola ai propri bambini e decidono di occuparsi della loro educazione a casa. Nel caso di figli diversamente abili o affetti da particolari sindromi, non potendo godere di alcun sostegno scolastico, le famiglie si adattano.

«In una settimana mi hanno chiamato tre volte per riportarlo a casa dopo la seconda ora perché dava fastidio in classe. È a casa con me tutto il giorno mentre i suoi fratelli più piccoli vanno a scuola. Leggo libri sugli approcci all’autismo e provo, per come riesco, a crescerlo». Lindsay è una madre che ormai da sette anni si occupa totalmente dell’educazione di suo figlio e per questo ha rinunciato a cercare un lavoro e crearsi uno spazio suo. Ma non tutti hanno un marito che lavora e non tutti hanno gli strumenti per fare una scelta di questo tipo. Di fronte a ciò, le chiese di Scozia diversificano la propria offerta per le famiglie creando Pram Praise Groups, Messy Churches e implementando i servizi del volontariato. Cresce però nel Regno unito l’isolamento e il disagio sociale e al gap educativo e sanitario, si aggiunge spesso la piaga delle dipendenze da droghe e dei problemi mentali.

Improvvisamente anche le chiese di Scozia si sono svegliate e un fenomeno sommerso è emerso con cifre allarmanti: tantissimi pastori in burn-out, membri depressi e suicidi giovanili. Accanto allo Stato entrano in gioco le varie chiese territoriali e la Chiesa di Scozia ha sempre giocato un ruolo da leoni nelle relazioni diplomatiche e nelle disponibilità di fondi. Ma è oggi una chiesa con un grosso deficit economico e con un indice altissimo di anziani. I giovani rimangono nelle associazioni ecclesiali: campane di vetro in cui si muovono senza la critica delle comunità locali.

La Church of Scotland è ancora una chiesa missionaria fortemente vocata alla predicazione e all’innologia, in grado di promuovere attività a sostegno di tutte quelle realtà estere in cui il Regno Unito gioca un ruolo strategico. Ma nel contempo i numeri si riducono e con essi le vocazioni pastorali. L’analfabetizzazione biblica di cui iniziano a risentire le chiese protestanti italiane, si presenta qui già nel suo stadio più preoccupante. La scarsa frequentazione del testo biblico fra la gente, rende estranea ai molti la sua varietà e la bellezza teologica. Le letture fondamentaliste appiattiscono le chiese su una prospettiva di negazioni e giudizio che allontana i più dialettici. La Scrittura, e con essa la Chiesa, perde la sua forza profetica: smette di essere una parola portatrice di giustizia per tutti e in primis, per gli emarginati.

Il tema della General Assembly 2017 era «Le donne nel ministero». Con questo quadro in definizione davanti ai miei occhi, ho partecipato come relatrice al forum sui ruoli di genere assieme ad altre due colleghe: una dalla Corea del Nord e l’altra dal Sud Africa. La profezia a cui siamo chiamate è emersa forte attraverso parole di lotta per la giustizia, la libertà e la guida di chiese che siano spazi di vita vera. Quello stesso giorno, in serata, sono stata invitata presso l’Italian Cultural Institute di Edimburgo a presiedere una conferenza su «Donne e religioni». Mi hanno chiesto a margine, a causa del tam tam mediatico di quei giorni in Scozia, di offrire una parola sulla scelta delle nostre chiese metodiste e valdesi di celebrare matrimoni gay… ho parlato di una piccola chiesa che non è perfetta ed è lontana dal ritratto romantico che molti hanno ricavato dal web. Una chiesa composta da legittime diversità create da Dio. Una chiesa in cui convivono e dialogano tanti punti di vista ma che oggi accoglie la sfida profetica di rendere visibile l’altro, l’invisibile, e di confrontarsi tutti assieme per mezzo della parola biblica come una sola chiesa. Come chiese in cammino, come donne spesso ancora invisibili, possiamo solo testimoniare di una relazione d’amore che ci ha cambiato la vita, che lascia una traccia più forte dentro e fuori, di un titolo di prima pagina.