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Cristiani, ma con le origini sbagliate

Fra 30 e 40 persone di origine irachena, la maggior parte cristiani caldei, sono stati arrestati a Detroit lo scorso lunedì 12 giugno, da parte dei poliziotti dell’Immigration and Customs Enforcement (Ice). Uomini, per lo più, residenti negli States da decenni, che qui hanno le loro famiglie, sono stati messi di fronte alla minaccia del rimpatrio forzato.

Un vero e proprio incubo, considerando le persecuzioni cui sono sottoposte nel loro paese d’origine le comunità cristiane, tra cui anche questa chiesa cattolica di rito orientale, affiliata alla Chiesa cattolica romana, che era la minoranza cristiana più consistente nel paese. Molti dei suoi membri sono stati costretti alla fuga negli ultimi anni proprio dall’occupazione jihadista di Mossul e del nord dell’Iraq, quella minaccia terrorista che Trump vuole estirpare dal suo paese, ma molti di loro erano già giunti in America per fuggire dal regime di Saddam Hussein e dalla seconda guerra del Golfo.

In seguito ai recenti accordi fra Stati Uniti e Iraq, quest’ultimo ha accettato di accogliere un certo numero di cittadini iracheni sottoposti all’’ordine di espulsione, a patto di essere tolto dalla lista nera dei paesi musulmani indesiderati.

L’operazione nella città di Detroit e nella sua area metropolitana, da cui provenivano diversi degli arrestati e che ospita la più grande comunità caldea al di fuori dell’Iraq (circa 121.000 persone), rientra nel giro di vite contro l’immigrazione messo in atto dall’amministrazione Trump, e riguarderebbe addirittura 1400 iracheni.

Alcuni degli arrestati avevano avuto qualche piccolo problema con la giustizia, magari vent’anni prima, magari per essere stati sorpresi in possesso di marijuana, ma certo niente a che vedere con la minaccia del terrorismo. Secondo i portavoce dell’Ice, invece, avrebbero precedenti penali rilevanti (omicidio, aggressione, rapimento, traffico di droga, violenza sessuale, rapina, detenzione illegale di armi…), che giustificherebbero la decisione del giudice federale per l’immigrazione di sottoporli all’ordine di espulsione.

Immediata la reazione di associazioni come la Minority Humanitarian Foundation, nata tre anni fa per aiutare le vittime dell’isis e che lavora insieme al Dipartimento di Stato, che si è mobilitata per mettere in atto un’azione legale federale per bloccare quelle che vengono definite vere e proprie deportazioni. Anche i parenti degli arrestati hanno manifestato di fronte agli uffici dell’Ice, esprimendo la loro rabbia verso un presidente sostenuto e votato da molti di loro, persuasi dai suoi discorsi a sostegno dei rifugiati cristiani e contro l’Isis.

Quello di lunedì non è del resto il primo episodio di questo genere, lo scorso 19 aprile un volo verso l’Iraq con otto espulsi aveva suscitato indignazione e preoccupazione; e ora, il fatto che l’Ice non abbia fornito cifre ufficiali sul numero degli arresti (secondo alcuni sarebbero più di 300) né sul luogo di detenzione (sarebbe comunque in Ohio) non fa che aumentare la sensazione di angoscia e incertezza verso il futuro.

Immagine: via WikiCommon