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La tassa sul rimpatrio

Aiutarli a casa loro è slogan di successo perché comodo, di facile appeal, sposta il problema lontano dagli occhi e quindi lontano dal cuore. Ed evidentemente non abbiamo inventato nulla.

L’Australia infatti promette migliaia di dollari ai rifugiati Rohingya che accettino di tornare in patria, in Myanmar, paese accusato dalla comunità internazionale di praticare la pulizia etnica nei confronti della minoranza musulmana. I richiedenti asilo reclusi nei centri di detenzione di Manus Island in Papua Nuova Guinea hanno ricevuto pressioni da parte dei funzionari australiani, responsabili della struttura, al fine di esser persuasi a ritornare da dove erano fuggiti.

La storia ha un suo preambolo nel giugno di quest’anno, quando la sentenza della Corte Suprema dello stato australiano di Victoria ha ratificato un risarcimento danni di 45 milioni di euro da versare a 1300 profughi e richiedenti asilo detenuti nel centro in mare aperto voluto dall’Australia per risolvere a monte il problema, lontano dalle coste. La Corte ha verificato la sistematica violazione dei diritti umani dei reclusi nei centri e ha accusato il governo di non aver minimamente vigilato.Da qui le polemiche e la decisione di chiudere entro fine ottobre i tre centri chel’Australia ha aperto nel 2012 in mezzo all’oceano Pacifico, mentre la decisione sui rimborsi è al momento impugnata.

Da allora sono in atto gli sforzi per sgombrare i centri e il governo ha stabilito di offrire fino a circa 18 mila euro ai rifugiati che accettino di far ritorno in patria. Rifugiati che da quelle parti sono per lo più Rohingya. Ma le cronache di questi mesi ci raccontano che in Myanmar sono in corso operazioni militari che stanno obbligando donne, bambini e uomini della minoranza musulmana a fuggire dalle proprie terre.

«E’ impensabile pensare di rinviare qualsiasi Rohingya in Myanmair – ha tuonato Elaine Pearson, direttrice della sezione australiana dell’organizzazione per la tutela dei diritti Human Rights Watch-. Rispedire a casa queste persone significa condannarle a morte».

L’amministrazione Obama si era proposta per l’accoglienza di 1250 rifugiati dei campi off shore di Manus e Nauru, ma il neo presidente Trump ha subito definito pasticciata l’idea, che di fatto è al momento congelata. Stesso discorso per il governo di Canberra che ha più volte ribadito come nessun rifugiato delle isole verrà ricollocato su suolo australiano.

Dal 2007 al 2014 almeno1200 persone hanno perso la vita nel Pacifico nel tentativo di raggiungere le coste australiane. Aiutare a casa loro sposta altrove i problemi, li rinvia, non li elimina.

Immagine: una manifestazione a Perth, Australia, contro le dure politiche governative nei confronti dei migranti; foto di Love Makes A Way, via Flickr