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Economia e Ius Soli

In questi giorni di fine legislatura appare ormai evidente come l’approvazione di un provvedimento legislativo sullo ius soli difficilmente arriverà in porto, persa nei meandri parlamentari e tuttora in attesa di calendarizzazione da parte del Senato. Le forze politiche che ne caldeggiavano l’approvazione hanno messo in evidenza soprattutto gli aspetti di civiltà e di solidarietà, mentre gli avversari ne hanno enfatizzato i rischi legati alla sicurezza e alla perdita di identità nazionale.

Saltuariamente, qualcuno ha provato ad analizzare anche i benefici in termini economici che il nostro Paese potrebbe ottenere nel medio periodo. Lo ha fatto efficacemente l’economista Andrea Goldstein, in un intervento su Il Sole 24 Ore del 12 dicembre scorso, fornendo una serie di dati, con le relative fonti, che fanno riflettere perché scarsamente conosciuti.

Goldstein sostiene, citando altri autori, che la cittadinanza è determinante ai fini del grado di integrazione degli immigrati, in quanto l’eguaglianza politica e di opportunità lavorative qualificanti o professionali li spinge ad investire nelle specificità del Paese, spronandoli a costruire relazioni interpersonali con chi li ha accolti, in primis apprendendone la lingua, e ad adottarne nel medio termine gli usi e i costumi culturali. Il beneficio cresce esponenzialmente per i figli, nella cui istruzione i genitori sono disposti ad investire maggiormente se essa è funzionale all’ottenimento della cittadinanza.

E’ interessante uno studio diffuso da Pieter Bevelander dell’Università di Malmoe, i cui dati smontano il luogo comune diffuso che gli immigrati tendano a lavorare meno dei nativi. Con riferimento alla Svezia, che è il Paese europeo che ha la percentuale più elevata di cittadini nati all’estero (67%), lo studio ha dimostrato che ottenere la cittadinanza svedese migliora le possibilità di trovare un’occupazione stabile ed uscire dalla povertà. Risultati analoghi con riferimento alla Svizzera sono stati resi noti in uno studio di alcuni anni fa (Steinhardt e Wedemeier 2012), mentre la Germania, che dal 1999 concede la cittadinanza automatica alla nascita dei figli, ha registrato una riduzione della fertilità nelle famiglie di immigrati e una maggiore propensione degli stessi ad integrarsi, accompagnate da un miglioramento psico-fisico di genitori e figli.

L’autore conclude che le motivazioni economiche a favore di una riforma dello ius soli nel nostro Paese non vadano archiviate come un tentativo di minimizzare le oggettive difficoltà di bilanciamento tra sicurezza, integrazione, coesione sociale e promozione dei valori europei, perché è innegabile che qualsiasi misura discriminatoria e vessatoria nei confronti di chi arriva nel nostro Paese, con appresso soltanto un bagaglio pieno di speranze, non aiuta a migliorare la condizione di tutti coloro, italiani compresi, che soffrono le conseguenze di una crisi economica troppo lunga, della globalizzazione sfrenata e del mutato scenario tecnologico, fattori tutti che negli ultimi anni hanno contribuito a ridurre sensibilmente le possibilità di lavoro e la qualità dello stesso.