Esilio e rifugio, i temi dell’Assemblée du Désert in Francia

Il tradizionale appuntamento nei boschi della catena delle Cévennes ha riunito ancora una volta migliaia di protestanti, e non solo, francesi

Domenica 3 settembre, migliaia di persone si sono nuovamente riunite al Mas Soubeyran a Mialet, nella catena delle Cévennes nel sud della Francia per l’annuale L’ Assemblée du Désert, che si svolge in questi boschi dal 1911. La pastora Céline Rohmer, che ha guidato la funzione mattutina, ha tracciato un legame tra gli esuli ugonotti di quattro secoli fa e gli immigrati di oggi, per i quali le condizioni non sono molto migliori.
Rohmer è anche docente di esegesi dei testi del Nuovo Testamento e del greco della koine presso la Facoltà teologica di Montpellier.

«Siamo viaggiatori sulla terra», ha esordito Rohmer. «In comunione con tutti coloro che ci hanno preceduto». Riprendendo l’epistola che l’apostolo Paolo rivolge ai Romani, il pastore si pone «nella speranza della gloria di Dio».

«Per quale terra promessa siete salpati?» si chiede poi Rohmer, che collega il suo sermone all’attualità. «Migliaia di uomini e donne oggi si rivolgono verso territori diversi dal proprio per trovare rifugio in una terra accogliente. Il loro stesso esilio non è una metafora. È un’emergenza politica. Altri viaggiatori forzati avanzano attraverso i corridoi del Sud America sperando di trovare asilo… E quanti altri, lasciati morire nei deserti subsahariani… La loro marcia forzata, per loro, non è un modo di dire. È un grido di ingiustizia. E quanti altri, in questo preciso momento, resistono sotto le bombe per preservare il loro Paese dalla furia di pochi violenti. La loro terra promessa, per loro, non è un orizzonte: è una libertà da difendere».

«La speranza di una terra abitabile anima ciascuno di noi» ha proseguito la pastora. «Questa speranza è anche quella dei nostri figli, preoccupati per la distruzione pianificata dell’ambiente e degli esseri viventi, colpiti duramente da questa frenesia di consumo e di accumulazione. Questa gioventù, già provata e alla quale non viene offerto altro che crescere e fruttificare fino all’esaurimento della terra e delle anime». 

Céline Rohmer contrappone «un tempo in cui la clandestinità e la resistenza rappresentavano un atto di fede» al tempo attuale in cui «eccoci ripiegati in noi stessi, come direbbe Lutero, confinati nei nostri sistemi religiosi e politici, sedotti, comodamente installati, prigionieri, in realtà, delle nostre stesse pretese. Sedentari nel cuore e nella mente».

Un sermone che ha permesso alla pastora Rohmer di collegare poi la «fede», che «non è mai sicura, sempre un salto nell’incertezza», e la «speranza». «L’una chiama l’altra», e “«la fede è la realtà di ciò che speriamo. La nostra speranza ci parla del futuro ma è solo coniugata nel presente». Ma qualunque sia il rapporto temporale, «l’odio e la violenza non prevalgano sull’amore».