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Orbán trionfa alle elezioni ma perde il referendum anti Lgbtq

«Magyarország lesz az első», «Prima l’Ungheria», ma non troppo. Mutuata dal trumpiano “America First” la chiusura del discorso del primo ministro ungherese Viktor Orbán è lo slogan ideale per la sua vittoria netta, indiscutibile, contro l’ampia coalizione contro natura creata a tavolino per battere finalmente l’uomo forte di Székesfehérvár , la “Città dei re”, pronto invece ad un quinto mandato, il quarto consecutivo, in cui avrà probabilmente ancora più le briglie sciolte nel perseguire il proprio disegno autoritario, nazionalista, profondamente razzista. Ma forse qualcosa si muove sulle sponde del Danubio.

Prima l’Ungheria ma non troppo perché nel giorno del trionfo personale arriva una sonora e inattesa bocciatura legata al non raggiungimento del quorum nel referendum che, se approvato, avrebbe portato alla messa al bando per i minori di 18 anni di qualsiasi contenuto (in televisione, nelle scuole, etc) che fosse in qualsivoglia maniera legato al tema omosessualità. Si era speso con tutte le energie il premier su questa battaglia, dopo l’approvazione della legge lo scorso anno, cui era seguita la durissima reazione della Commissione europea che aveva avviato l’ennesima procedura di infrazione ai danni di Budapest, con la minaccia di sanzioni economiche pesanti.

Ma Orbán aveva tirato dritto promuovendo il referendum, per la prima volta in Ungheria in concomitanza con il voto per il rinnovo del Parlamento. Eppure se a votare sono andati quasi il 70% degli aventi diritto, il referendum si è fermato sotto la soglia del 50%, per cui è presumibile che fra lo stesso elettorato del partito Fidesz il tema sia in parte divisivo e molti abbiano scelto di non ritirare la scheda. C’è da augurarselo.

Ma visto che siamo in uno dei Paesi più illiberali d’Europa nemmeno questa volta esiste il lieto fine. Avendo il premier costruito leggi e sistemi a suo capriccio, quello di domenica era solo un “sondaggio di opinione” come dallo stesso Orbán definito. Per cui la legge resta in vigore. Vediamo se l’Europa avrà ora il coraggio di non arrivare ancora una volta troppo tardi. Intanto un piccolo campanello d’allarme interno contro tutta questa illiberalità, forse, è suonato alla corte dell’ultimo re di Ungheria. 

Foto da profilo Flickr dell’ European People’s Party