dsc02789

Rifugi alpini e Covid, tante le sfide all’orizzonte

Anche i rifugi alpini si preparano ad affrontare una seconda stagione estiva verosimilmente analoga a quella appena terminata ovvero ricca di paura e confusione sanitaria, legislativa e sociale; la crisi economica è grande.

Distanziamento, sanificazione e gestione dei flussi sono stati gli obiettivi minimi da raggiungere per poter aprire i battenti. Il virus non è ancora stato sconfitto, le strutture in quota non potranno abbassare la guardia riappropriandosi delle loro prerogative e peculiarità in tempi brevi.

«Associare il concetto di “distanziamento fisico” a un rifugio del Club Alpino Italiano si è rivelato un compito arduo se non impossibile – commenta Giacomo Benedetti, presidente nazionale della Commissione rifugi del Cai –. Condivisione e “sana” promiscuità sono prerogative irrinunciabili che, se azzerate o anche solo ridimensionate, rischiano di compromettere l’anima e lo spirito del rifugio, assimilandolo sempre di più ad una struttura ricettiva tradizionale».

È possibile ripensare i rifugi alpini in ottica Covid?

«I sobri e spesso esigui spazi disponibili sono propedeutici e funzionali alla coabitazione temporanea, alla condivisione di esperienze, all’osmotico interscambio culturale e sensoriale che attiva una alta percezione di se stesso e dell’altro.

Rimodulare uno spazio, inibire un accesso o alzare barriere in plexiglass, operazioni forse efficaci per la prevenzione sanitaria, potrebbero rivelarsi compromettenti o letali per il “sistema rifugio”, che va tutelato e preservato vigilando attentamente e intervenendo quando necessario.

In quest’ottica, il Cai ha iniziato a operare per sostenere le sue strutture durante la pandemia rendendole, per quanto possibile, Covid free. Le limitazioni imposte dai protocolli sanitari anti Covid hanno drasticamente ridotto la ricettività delle strutture sia in termini di posti letto che di somministrazioni pasti, cambiando le modalità di fruizione del rifugio a scapito della socialità. Per garantire il puntuale rispetto di queste regole, si è compiuto un grande sforzo organizzativo che ha assicurato sanificazione, mascherine e distanziamento fisico. Grazie all’encomiabile lavoro dei rifugisti le disposizioni sono state scrupolosamente applicate, evitando casi di contagio nei rifugi Cai».

Il Cai ha svolto un imponente lavoro di comunicazione per informare, sensibilizzare e, per quanto possibile, formare gli avventori su come si frequenta un rifugio, su quali sono le aspettative che devono avere e le buone pratiche da adottare. Si è posta l’attenzione sulla scelta della meta, consigliando di diversificare scegliendo zone meno note e frequentate, pianificando scrupolosamente l’escursione, verificando la disponibilità dei posti in rifugio e, una volta deciso, effettuando la prenotazione.

Ora siamo alla vigilia di una nuova stagione…

«Una montagna senza rifugi è inconcepibile e inimmaginabile e l’attuale situazione – continua Benedetti – richiede decisioni coraggiose e visionarie.

I rifugi, identificati come patrimonio e opportunità per l’intera comunità, sono presidi territoriali, vere e proprie infrastrutture propedeutiche alla corretta e sicura frequentazione delle terre alte. I rifugi sono nodi di una rete etica (trans-nazionale) in cui si deve trovare cultura, qualità ambientale, comportamenti virtuosi ed economia circolare che rilanciano il valore d’insieme del territorio elevandolo a distretto culturale, ambientale e turistico.

I rifugi sono nati per dare riparo agli alpinisti ma, nel corso degli anni, hanno contribuito alla frequentazione “lenta” della montagna.

I rifugi sono avamposti in montagna, luoghi di accoglienza educante e di sensibilizzazione ambientale che avvicina il mondo reale a quello artificiale, avvicina montagna e aree urbane, avvicina il turista al montanaro. Questa è la grande sfida che, sin da subito, la montagna e i rifugi del CAI sono chiamati ad affrontare».