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Nominato il nuovo professore di Nuovo Testamento

Nato nel 1968, già pastore della chiesa metodista di via XX settembre a Roma, gli abbiamo chiesto innanzitutto di ripercorrere brevemente il percorso che l’ha portato fino a qui.

 

 

“È stato un percorso lungo, gli interessi accademici sono cominciati al tempo della Facoltà: ho impostato la tesi con la speranza di proseguire gli studi con il dottorato. Dopo la laurea nel 1995 ho cominciato a lavorare come pastore a Prali, trovando una borsa di studio a Basilea e svolgendo il dottorato con il professor Stegemann. Quindi ho proseguito il lavoro l’anno seguente a Cinisello Balsamo al Centro culturale “Lombardini” e alla chiesa metodista di Novara; nel frattempo ho cominciato a fare pubblicazioni e a partecipare a convegni nazionali e internazionali.

La sua attività di pastore si è quindi sempre intrecciata con la ricerca. Ma quale cambiamento porterà questo passaggio dal ruolo pastorale a quello di docente?

“Dovrò focalizzarmi sull’aspetto accademico, sulla ricerca, non sempre semplice quando fai il pastore in una grande comunità, perché il tempo a disposizione è ridotto e la ricerca rimane sullo sfondo, relegata nei momenti liberi. Ora si tratta di focalizzarsi su questo, e ciò comporta maggiori responsabilità: diventa davvero un mestiere”.

Insegnare nel luogo dove si sono compiuti gli studi offre solo vantaggi o anche qualche criticità?

“Fondamentalmente direi dei vantaggi; questa nomina è in continuità con il lavoro pastorale, è una parte della nostra testimonianza come chiesa. Certo una facoltà piccola come la nostra per mancanza di mezzi non permette più di tanto di fare pura ricerca; spero però che si apriranno degli spazi in futuro, anche grazie alla bella collaborazione con altre facoltà di teologia.

Da quando lei ha lasciato la Facoltà sono passati circa vent’anni: quali sono stati i cambiamenti principali?

Il cambiamento più grosso è stata l’introduzione del corso a distanza, che ha reso la Facoltà il luogo principale di formazione dei nostri quadri. Inoltre il corso, rivolgendosi soprattutto all’esterno, ci mette in rete con altre realtà o altre confessioni come quella pentecostale. Poi anche la nostra chiesa sta cambiando: quando ero studente la maggior parte proveniva direttamente dal liceo, oggi non è più così perché abbiamo molti studenti laureati e questo cambia anche le modalità di insegnamento”.

Possiamo dire quindi che sta cambiando anche la vocazione della Facoltà, nel senso che la formazione è rivolta non soltanto ai futuri pastori?

“Questa distinzione non dovrebbe esistere, un pastore dovrebbe essere anche un teologo. Se si perde la teologia, si perde il senso del pastorato nelle nostre chiese: la formazione deve essere accademica. Come mi disse Paolo Ricca, gli anni della Facoltà sono gli anni dello studio, che poi difficilmente si potrà proseguire con la stessa intensità: lo studente imparerà a mediare la sua conoscenza nel lavoro della comunità, ma con una solida formazione teologica. Deve padroneggiare perfettamente i concetti per saperli spiegare in modo semplice, altrimenti si rischia la banalizzazione”.

Quali sono le sue idee su come impostare il suo insegnamento?

“Ognuno porta con sé la propria formazione, la mia è orientata su una lettura storica della Bibbia, un interesse per l’ambiente, la letteratura, il mondo in cui è nato il Nuovo Testamento, e quindi i miei corsi saranno inevitabilmente molto centrati su questo aspetto. Tuttavia, fra due anni, quando subentrerò al prof. Redalié e sarò a contatto con gli studenti, dovrò capire come inserire il mio portato nel tradizionale corso di NuovoTestamento”