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Il capro espiatorio

Cosa c’è di meglio di un bambino biondo rapito dagli zingari? Nessuno ha avuto dubbi: non gli inquirenti che parlano di rapimento organizzato e di appostamenti; non i giornali, che descrivono la scena senza chiedersi se altri possano testimoniare quanto accaduto; non i passanti della festa patronale, i quali pure nulla hanno visto e men che meno chi sui social network già incitava all’odio e ai roghi contro i rom. Poi, di fronte alla ricostruzione frammentaria, la polizia comincia ad avere i primi dubbi e il papà confessa le sue bugie: “Avevo paura che mi togliessero la patria potestà per incauta custodia”.

Ricordo, da bambino, che nei prati di fronte a casa mia due volte all’anno venivano le giostre e io nei prati lì vicino andavo a giocare a pallone con i miei amici. Quando c’erano le giostre però eravamo sempre in pochi perché alcuni genitori avevano paura dei rapimenti. Eppure, secondo le informazioni e i dati raccolti in una ricerca della Fondazione Migrantes, affidata al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università di Verona, si può dire che fra il 1985 e il 2007 non vi è stato alcun caso accertato di rapimento di minori imputabile a persone appartenenti a un gruppo rom o sinto. La nostra paura va proprio oltre ciò che è razionale e ci impedisce di vedere. Un padre disattento, che si vergogna di dire che nella confusione ha perso di vista il figlio, diventa un uomo che adesso è giustamente accusato di calunnia e procurato allarme. Il campo rom di strada dell’aeroporto di Torino è stato perquisito dalla polizia e probabilmente la scorsa notte ha rischiato di venire bruciato, come è successo in passato alla Continassa. Sembra che il peggior repertorio di luoghi comuni del nostro paese si sia concentrato in questa vicenda: un padre disattento e disposto all’odio razziale; un paese che non vede e giustifica sempre le proprie mancanze accusando l’altro, lo straniero; lo sfogo violento che serpeggia in internet; e la stampa che non verifica le notizie e spara titoloni per vendere.

Da sempre c’è bisogno di un capro espiatorio, per poterlo incolpare di ciò che non si sa come spiegare o per non prendersi le proprie responsabilità. Dagli ebrei untori della peste, fino agli africani che ci rubano il lavoro. La responsabilità non è mai nostra; noi siamo giustificati dalla nostra paura o da qualcuno che fa cose peggiori delle nostre. Il maschio adulto italico, in questo caso con prole, è nella quasi totalità dei casi incapace di dire che la responsabilità è sua; non dei politici, non di chi ruba, non dell’Europa, non del vicino, ma sua. Quando cerchiamo le ragioni della crisi italiana questa vicenda forse ci dice molto di più delle analisi sullo spread e sul Pil. Oggi si ringraziano le forze dell’ordine per essersi prese la responsabilità di indagare più a fondo ma nessuno chiede scusa. Non il papà per le false accuse che rischiavano di provocare danni a persone innocenti; non chi inneggiava a roghi contro i rom e nemmeno i giornali che oggi descrivono il padre con ironia e stupore, dimenticandosi di avere cavalcato lo stesso razzismo meno di 24 ore prima. 

Foto copertina: “Kazimierz Dolny July 2013 092” di myself (User:Piotrus) – Fotografia autoprodotta. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.