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Il 27 ottobre il Consiglio dei diritti umani dell’Onu esaminerà il rispetto dei diritti fondamentali in Italia

 La situazione dei diritti umani in Italia verrà valutata dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu nella sessione del prossimo 27 ottobre. Non si tratta di una messa in stato d’accusa, ma dell’Universal Periodic Review, un “esame obbligatorio” a cui tutti gli stati membri delle Nazioni Unite devono sottoporsi periodicamente. Alla discussione sull’Italia, che sarà condotta da tre stati selezionati per sorteggio (Irlanda, Repubbica di Macedonia, Etiopia), parteciperanno i 47 paesi membri del Consiglio dei diritti umani, oltre agli stati membri dell’Onu che lo desiderino ed alcune organizzazioni non governative autorizzate. Al termine dell’esame, il Consiglio adotterà un rapporto contenente i rilievi delle parti interessate e le raccomandazione del Consiglio (nel caso dell’Italia, il rapporto è atteso per venerdì 31 ottobre).

L’Upr non è limitato a nessun tema specifico, ed è quindi normale che gli argomenti all’ordine del giorno siano numerosi. Si discuterà naturalmente di razzismo, omofobia, discriminazione di Sinti e Rom, parità di genere, condizione dei carcerati, immigrati, libertà d’opinione e di stampa, richiedenti asilo politico ed altre criticità della realtà italiana. Nei rapporti preparatori pubblicati, vi è però spazio anche per alcune questioni legate a laicità e libertà religiosa. Per iniziare, nel documento più “istituzionale”, redatto dall’Alto commissariato per i diritti umani, viene dato rilievo alla raccomandazione del Comitato per i diritti del bambino che suggerisce di rendere l’insegnamento religioso “davvero opzionale” e di studiare possibili alternative all’insegnamento della religione cattolica da inserire nei programmi nazionali. L’insegnamento della storia delle religioni, da tempo proposto dalla Federazione delle chiese evangeliche, sarebbe naturalmente un ottimo candidato in questo senso.

Un secondo rapporto, che raccoglie le osservazioni delle organizzazioni non governative portatrici di interessi rilevanti (tra cui figurano anche l’Alleanza evangelica italiana, la European evangelical alliance e la World Evangelical Alliance), sottolinea invece i problemi legati alla giurisprudenza costante del Consiglio di Stato che nega il riconoscimento dei ministri di culto delle comunità religiose con meno di 500 membri, impedendo loro di svolgere una serie di attività, come le visite ai carcerati o ai malati in ospedale. La questione s’inserisce nel dibattito sulla precaria condizione giuridica delle minoranze religiose non riconosciute dallo Stato e la necessità di una nuova legge sulla libertà di culto. A questo riguardo, nella discussione del 27 ottobre potrebbe anche essere toccato il tema dei locali di culto evangelici chiusi d’imperio in Lombardia, trattato recentemente da Riforma.it. Va inoltre rilevata la vaghezza della risposta del Governo italiano sul punto. Nella propria relazione al Consiglio, l’Italia si limita infatti a ricordare le Intese firmate negli ultimi anni, e ad affermare che il Governo nazionale è intervenuto in diverse circostanze per garantire il rispetto della libertà religiosa delle minoranze.

Benché l’Upr sia uno strumento di natura prevalentemente politica, esso permette di dare visibilità pubblica ed internazionale ai problemi che gli Stati tendono a nascondere sotto il tappeto. Perché ciò avvenga, l’intervento di organizzazioni non governative di varia ispirazione è fondamentale. A questo proposito è tuttavia doveroso chiedersi perché le Chiese protestanti storiche italiane, non abbiano partecipato alla preparazione dell’Upr di quest’anno, nonostante il Consiglio dei diritti umani accetti comunicazioni ed informazioni da parte di organizzazioni non governative interessate alle questioni discusse.

Va infatti detto che nei rapporti preparatori si parla di libertà di culto, Irc e minoranze religiose solo grazie all’Alleanza evangelica italiana (e alla sua controparte mondiale), ad un’Ong tedesca e ad una raccomandazione del comitato dei diritti del bambino dell’Onu. Forse avremmo avuto qualcosa da dire, al di là delle serate pubbliche sinodali e delle conferenze della Fcei. Anche gli organismi ecumenici internazionali a cui partecipano le nostre chiese potrebbero guardare più spesso a cosa avviene a livello di istituzioni intergovernative. Eppure, mentre la Comunione Riformata Mondiale ha trasferito la propria sede dalla Ginevra delle organizzazioni internazionali ad Hannover per ragioni economiche (ufficialmente, si dice, il franco svizzero è troppo forte), la World Evangelical Alliance è presente nella città di Calvino, dove interagisce con gli organismi dell’Onu, a cui parla delle minoranze italiane. Quando si dice avere un progetto strategico.

Foto: ONU Geneva mainroom” di Yann Forget – Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.