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Il conflitto sullo sfondo

Da pochi giorni in Israele i parlamentari hanno votato lo scioglimento della Knesset, fissando la data del 17 marzo 2015 per le prossime elezioni. Lo scioglimento del Parlamento arriva dopo il licenziamento da parte di Benjamin Netanyahu dei due ministri centristi Yair Lapid, ministro delle finanze, e Tzipi Livni, ministra della giustizia, con i quali lo scontro era diventato insostenibile. Ne abbiamo parlato con Luigi Bisceglia del Vis, Volontariato internazionale per sviluppo, che da anni vive e lavora tra Betlemme e Gerusalemme.

I giornali italiani descrivono bene la situazione?

«Sì, ci sono tutti gli elementi di ciò che succede qui, cioè una situazione instabile e che non fa immaginare cosa possa accadere in futuro. La certezza è che il terzo mandato di Netanyahu è finito, la coalizione che ha dato vita a questo governo era fragile fin dall’inizio; questi due anni non sono stati facili per il governo, non solo sul fronte del conflitto israelo-palestinese, ma anche per tutti i problemi interni, dalla crisi economica, al carovita e così via. Il motivo principale della rottura sono le opinioni diametralmente opposte tra il partito di Netanyahu e quelli più moderati. Non c’erano più le condizioni per andare avanti, sia per l’escalation di violenza, sia per l’idea che stava dietro alla nascita di uno stato nazionale ebraico, che ha fatto traboccare il vaso. Quel che è certo è che la situazione non è chiara per quanto riguarda la gestione del processo di pace e la creazione di un vero stato palestinese. Le elezioni saranno a marzo, ma è difficile capire se Netanyahu con una nuova coalizione tutta di destra possa farcela a ottenere un quarto mandato».

Come raccontano la situazione i quotidiani israeliani?

«Seguono le consultazione per cercare di capire cosa potrebbe succedere alla Knesset e chi potrebbe ottenere una maggioranza. Secondo alcuni sondaggi Netanyahu, alleandosi con i partiti religiosi e con il partito che rappresenta gli insediamenti illegali (per semplificare) potrebbe avere una maggioranza fortissima, tornando al potere con un governo molto conservatore; ma c’è chi dice che se il centro si unisse compatto insieme ai laburisti, loro sarebbero in grado di superare per 3 o 4 seggi in Parlamento la maggioranza di destra. Ma è tutto molto fluido, e farà molto il malcontento, che è forte in questo momento nella società israeliana. Il conflitto è sempre sullo sfondo, ma nello stesso tempo si pensa anche ai problemi della quotidianità: pressione fiscale, problemi sociali e così via. Lapid vinse 24 seggi perché promise di abbassare la pressione fiscale, non ce l’ha fatta, dunque la domanda è: di chi si fideranno ora gli israeliani? Per ora non c’è una risposta. Chi è più in grado di garantire la sicurezza della popolazione? I partiti di centrodestra o di centrosinistra? La percezione dell’insicurezza influenzerà il voto».

Quindi si utilizza il conflitto come leva?

«E’ da anni che si vive così. Il conflitto fa parte della routine, ma è ovvio che si possa strumentalizzare tutto, in un senso e nell’altro e su entrambi i fronti. La percezione che ho io è che nessuno voglia risolvere veramente il problema e quando fa comodo si manipolano le cose che accadono».

E se si cambiasse la dicotomia degli opposti che si fronteggiano? La “sicurezza” sarebbe ancora la cosa più importante?

«La questione è che non c’è stata la volontà di arrivare ad un processo di pace che durasse. La questione di fondo è sui passi del prossimo governo: in un contesto del Medioriente oggi, in cui i problemi non sono solo qui, a Israele non converrebbe una pace con i palestinesi? Penso sia sempre meglio evitare gli estremismi e accordarsi con le parti moderate».

Quali reazioni ci sono state alla legge per fare di Israele lo Stato Ebraico?

«Anche questo è sullo sfondo dal 1967, da allora si parla della creazione di uno Stato ebraico, dove tutti gli ebrei possano trovare rifugio nel caso di un altro olocausto. Detto questo penso che la maggior parte della popolazione non sia favorevole a uno stato teocratico, perché è laica e vuole uno Stato laico, dove sia possibile vivere serenamente il fatto di essere ebrei, questo sì. In questo momento ci sono 8 milioni di abitanti in Israele, di cui 6 milioni ebrei: di questi 1 milione sono ultraortodossi, che studiano la Torah, che diventano rabbini e che rappresentano la parte religiosa dello Stato. Un sesto è molto, e lo Stato continua a dare sussidi a queste persone, che vivono solo del sostentamento statale, non fanno il servizio militare e hanno qualche altro privilegio. Credo che questa cosa, nel 2014, faccia arrabbiare il resto della popolazione, che lavora, paga molte tasse, fa tre anni di servizio militare e così via, senza parlare degli arabi israeliani, i palestinesi residenti: insomma una società molto eterogenea».

Fonte: “PikiWiki Israel 7260 Knesset-Room” di איציק אדרי-Itzik Edri – Itzik Edri via the PikiWiki – Israel free image collection project. Con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons.