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La lotta al terrorismo è prima di tutto culturale

«Condanno nel modo più fermo e categorico gli attacchi terroristici di Parigi. Nessuna giustificazione, ideologica o religiosa, potrebbe essere accettabile. Condanno questi atti criminali non solo a nome della nostra umanità e dei nostri valori comuni ma soprattutto a nome della mia religione islamica. La vera blasfemia è stata commessa da questi delinquenti contro l’Islam e il suo Profeta». Così si apre il comunicato diramato dal Cipax (Centro interconfessionale per la pace), a firma del presidente Adnane Mokrani, docente presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e dIslamistica (Pisai). A lui abbiamo chiesto un commento sugli eventi che nei giorni scorsi hanno sconvolto Parigi e l’Europa tutta.

«Gli atti disumani compiuti nel cuore della Francia da quei criminali hanno dato un’immagine falsa dell’Islam e del suo profeta. Il Corano stesso cita degli insulti che Maometto ha ricevuto durante la sua vita dalla gente e dalla sua stessa tribù: è stato chiamato “pazzo”, “posseduto”, “bugiardo”. Ma nel libro sacro l’unica risposta che il profeta stesso dà a quegli insulti è di ignorarli e di non rispondere mai con la violenza o con l’omicidio. Dunque, questo agire criminale non è giustificato dalla religione islamica ma anzi è antireligioso, antislamico».

In un altro passaggio del comunicato lei appunto afferma: “Dobbiamo mettere fine alla confusione tra islam e terrorismo”.

«Sì, il terrorismo non ha alcuna giustificazione religiosa, può essere al massimo una deriva settaria o un pensiero malato che non esprime un’esperienza religiosa autentica».

Nella realtà, invece, eventi come quelli accaduti a Parigi sono utilizzati per demonizzare i musulmani e per creare un clima di islamofobia e di odio.

«Questi attacchi terroristici cercano di creare un grande disagio per le migliaia di musulmani che vivono in Europa, che sono integrati, si sentono cittadini europei e partecipano come tali alla vita sociale, culturale e politica. L’obiettivo degli attentati è di creare una spaccatura, una polarizzazione tra i musulmani stessi, e approfittare di questo per seminare odio e manipolare le persone più fragili. In questo contesto, la partecipazione attiva dei musulmani che denunciano il terrorismo, che vogliono vivere in modo civile, umano, e vogliono convivere con le altri componenti della società è indispensabile per una lotta seria contro la violenza e il terrorismo. Trasformare questa lotta in una guerra tra le religioni, tra le civiltà è funzionale solo alla causa del terrorismo».

Lei parla di una lotta al terrorismo che è prima di tutto culturale. Da dove si comincia?

«Innanzitutto occorre non cadere nella trappola della contrapposizione, ma è importante dare voce e spazio ai musulmani che rappresentano la spiritualità islamica; inoltre è indispensabile allargare il campo del dialogo, raggiungendo le persone che non abbiamo raggiunto fino ad oggi. Poi, c’è la questione della formazione e dell’educazione: i giovani parigini che hanno commesso questi atti terroristici sono killer, sono criminali, ma sono anche vittime di un’ideologia distorta che trova terreno fertile nella povertà e nel disagio sociale a cui lo Stato non ha saputo rispondere con adeguate politiche sociali e culturali. È necessario raggiungere e proteggere queste persone affinché non cadano nelle mani di cattivi maestri».

Quale ruolo giocano le religioni?

«Dobbiamo partire dai valori comuni, che sono la cittadinanza piena, l’uguaglianza, la giustizia, la pace, i diritti umani, la libertà religiosa, non dobbiamo abbandonare questi valori altrimenti cadiamo in un tipo di fondamentalismo alla rovescia: la reazione cieca contro la provocazione. Purtroppo le religioni sono state usate in modo distorto per altre funzioni, altri scopi, invece occorre recuperare la missione religiosa delle religioni che è quella di educare le persone ad essere più umane, pacifiche, dialoganti, e ad essere cittadini attivi che rispettano e collaborano con tutti».