kalimera

Farsi tentare dalla speranza

All’inizio del nuovo millennio il movimento no-global andò a schiantarsi contro la scuola Diaz e le  omertà del governo italiano. Ne conserviamo uno slogan che nella sua forza e semplicità è riuscito ad attraversare gli ultimi anni: «Un altro mondo è possibile». La ribellione al pensiero unico, a chi appunto ritiene che quello attuale sia, caduto il muro di Berlino e in assenza di alternative visibili, il migliore dei mondo possibili ha creato una frattura, allargata dalla crisi del sistema finanziario. E’ necessario prima di tutto sognare e rendere possibile un’alternativa, le parole in questo senso sono importanti perché costruiscono una realtà prima ancora di proporla. La lezione, non nuova, è stata raccolta nel 2008 da Obama che ha raccolto la forza di questo slogan, e ha fatto del Yes we can la didascalia di alcuni risultati, primo fra tutti la riforma sanitaria degli Usa, allargando alle fasce più deboli alcuni diritti. Poco forse rispetto ai sogni del movimento di Seattle ma significativi per i tempi in cui questi risultati sono stati ottenuti.

L’intera storia biblica dall’antico al nuovo testamento potrebbe essere riassunta sotto il segno dell’offrire una speranza all’oppresso e, in primo luogo a chi non ha più speranza e vede davanti a sé un orizzonte chiuso. Dalla terra dove scorre il latte e il miele alla promessa di ritorno dall’esilio e alla ricostruzione del tempio di Gerusalemme; dalla vicenda di Rut, straniera che si affida ad una relazione con una donna straniera al “figlio minore” Giacobbe, che viene scelto contro le leggi del tempo. Dal vangelo di Marco che annuncia «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo», fino alla promessa della vittoria sulla bestia e alla nuova Gerusalemme dell’Apocalisse. Da sempre Dio ci annuncia una speranza che viene e che è già qui, un speranza che chiama all’annuncio, a volte alla resistenza, e apre ad una possibilità che non avevamo previsto. Fondamento della speranza è la fedeltà di Dio. Significativamente il leader di Syriza ha scelto come slogan Elpida erchetai, “La speranza sta arrivando” e le sue proposte economiche hanno immediatamente scatenato, nelle settimane precedenti le elezioni in Grecia, numerosi articoli denigratori volti soprattutto a mostrare come in realtà non ci fossero possibilità di cambiamento. Il sospetto con cui spesso, e giustamente, guardiamo ai nuovi “falsi Messia” che suscitano facili entusiasmi e che, soprattutto nella nostra storia italiana, sono stati attorniati da folle entusiaste e poi deluse, ci permette di valutare questo recente fenomeno con un certo distacco. Se la nostra speranza, da credenti, non può che essere riposta in Dio e nella sua fedeltà, possiamo però riconoscere che sempre più oggi la costruzione politica viene fatta attorno ad un leader. Il rischio di sostituzione è altissimo. Nessun politico è immune dal peccato di idolatria. Non credo sia però un caso se, almeno nei tre casi citati, ma potremmo aggiungere i movimenti di liberazione sudamericani della teologia della liberazione, ciò che è stato messo in discussione non è tanto il contenuto delle proposte politiche, quanto la portata liberatrice dell’offrire una speranza.

Nel nostro vivere quotidiano spesso la sensazione che non sia possibile fare nulla per cambiare, che l’unica soluzione sia quella del tirare a campare o del più egoistico “Io speriamo che me la cavo” sono i nemici più grandi della speranza che ci viene offerta. La risposta alla chiusura degli orizzonti possono essere la rassegnazione e la disperazione o la rabbia e il terrorismo. Oggi le sperimentiamo entrambe nelle diverse parti del mondo. Sembra esserci una polarità che mette l’analisi, il raziocinio, il senso di realtà da un parte e dall’altra l’emotività, la superficialità, e spesso anche una certa ingenuità. Invece farsi testimoni di questa fedeltà di Dio che apre alla speranza verso un futuro inatteso e di liberazione; senza cedere al facile messianismo ma senza chiudere le porte, in un nome di una supposta più alta analisi, ai progetti di cambiamento che il mondo ci offre, è credo oggi il compito delle chiese. Nell’eterna tensione tra parola di Dio e realizzazioni umane è possibile testimoniare non il nostro sconforto e la nostra incapacità di conversione, mascherata da un raziocinio che nasconde l’incredulità, bensì, contestualmente di volta in volta, farsi portatori di una parola che contiene in sé il segno della speranza che Dio ci offre. 

 

Copertina: foto di Stefano Stranges