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Le Chiese e i cambiamenti climatici

Martin Kopp è responsabile per la difesa della giustizia climatica alla Federazione luterana mondiale (Flm). È di ritorno da Ginevra dove è appena terminata la prima delle quattro sessioni di negoziati intermedi che porteranno alla ventunesima Conferenza delle Parti (Cop) dell’Onu, che si svolgerà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre prossimo.

La società civile si è mobilitata da tempo sul tema del clima. Quali sono le prossime scadenze?

Ci saranno tre momenti importanti di mobilitazione nel 2015. Il primo sarà a partire dalla fine del mese di maggio e per tutto il mese di giugno, in tutti i paesi del mondo. Si tratterà di fare veramente pressione sui negoziatori, che inizieranno allora la sessione di discussioni più cruciale, quella di giugno, che si svolgerà a Bonn. In quella data, i 195 Stati avranno – speriamo! – comunicato i loro impegni nazionali di riduzione dei gas ad effetto serra. Avremo quindi una valutazione del punto in cui siamo, a livello mondiale, rispetto all’obiettivo di mantenere a 2°centigradi l’aumento del riscaldamento climatico all’orizzonte del 2100. Se le proposte degli Stati sono troppo timide, saremo ancora abbastanza lontani dalla Cop21, a Parigi in dicembre, per far sì che una mobilitazione generale possa spingere quegli Stati a presentare delle proposte più ambiziose.

In Francia, il fine settimana del 30 e 31 maggio sarà il punto culminante della mobilitazione della società civile. Si svolgeranno molte iniziative in tutto il paese, nel quadro della coalizione clima 21, che riunisce le reti e associazioni mobilitate per la giustizia climatica.

E il secondo?

Il secondo grande momento di mobilitazione sarà in settembre. A livello internazionale, l’Assemblea generale dell’Onu avrà un forte “carattere” climatico, simboleggiato dal discorso che il papa dovrebbe tenervi davanti a tutti i capi di Stato. Sarà durante quell’assemblea che saranno definiti gli obiettivi di sviluppo sostenibile post-2015 (ex obiettivi del millennio per lo sviluppo) che dovrebbero anch’essi far parte della questione climatica.

In Francia, il fine settimana del 26 e 27 settembre costituirà il momento centrale, in particolare attorno all’Alternatiba Ile-de-France, l’arrivo a Parigi del giro-tandem di 5000 km di Alternatiba e le grandi conferenze organizzate da France Nature Environnement. Mancheranno allora due mesi all’incontro di Parigi e sarà l’ultimo momento in cui si potrà tentare di influenzare le posizioni nazionali in vista di un accordo.

Il terzo momento, sarà appunto la COP21, che si svolgerà a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre.

E a livello delle religioni?

Durante tutto l’anno, le mobilitazioni religiose si sincronizzeranno con quei tre momenti. Diverse iniziative sono già cominciate, come il digiuno per il clima. Dei pellegrinaggi per la giustizia climatica partiranno da diversi paesi d’Europa, a piedi o in bicicletta o con altri mezzi di locomozione a bassa emissione di anidride carbonica, per arrivare a Parigi nel periodo della conferenza di dicembre. Saranno raccolte firme in tutto il mondo in tutte le tradizioni religiose e saranno portate a Parigi. Il movimento è globale, si sta attuando una bella dinamica.

Le Chiese sono un luogo privilegiato d’azione?

Certamente! In fondo, la questione intergenerazionale è quella dell’amore del prossimo. Biblicamente è sbagliato immaginare il prossimo in una prospettiva spaziale o temporale, ma possiamo giocare sull’analogia. Il cambiamento climatico estende l’amore del prossimo fino all’estremo, perché si tratta innanzitutto di amare qualcuno che non è neppure nato e che vivrà a milioni di km!

Le Chiese possono far propria questa sfida. Devono essere profetiche in parole a in atti. In parole, verso i dirigenti e verso i loro membri, mettendo in guardia su ciò che succederà, affinché scegliamo la vita, la giustizia e la pace. In atti, impegnandosi in un cammino di transizione ecologica istituzionale e personale.

Come spiegare la distanza tra ciò che afferma la scienza e ciò che mette in atto la politica?

Più che qualsiasi altra, la questione del cambiamento climatico chiarisce il nostro rapporto conflittuale con il tempo. A livello politico, siamo troppo spesso nel breve termine, imposto dal calendario elettorale. I problemi climatici, all’opposto, sono una sfida a medio e lungo o anche lunghissimo termine.

Perché la posta in gioco è il futuro. Quando si parla di generazioni, si pensa spesso al 2100. Ma nei suoi lavori, il Giec (Gruppo di esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima) guarda ben oltre, e ritiene che i cambiamenti climatici che stiamo provocando avranno effetti per i prossimi mille anni. Non si parla solo della prossima generazione, ma di una trentina, una quarantina di generazioni future.  

Foto via Pixabay | Licenza CC0 Public Domain