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Il diritto ad avere dei figli, quando è più complicato

Sono nati i primi due bambini in Italia grazie alla fecondazione eterologa, un tipo di fecondazione medicalmente assistita che prevede la donazione di uno dei due gameti, il seme oppure l’ovulo, da un soggetto esterno alla coppia. Questa pratica è stata resa illegale nel 2004 dalla Legge 40, ma nell’aprile del 2014 la Corte Costituzionale ha fatto cadere il divieto. La legge 40 è entrata 33 volte in tribunale, con piccole correzioni o drastici cambiamenti di rotta. L’avvocata Silvia Rostain, della commissione bioetica della Tavola Valdese, ha commentato la notizia con noi.

Come legge questa notizia?

«Particolare è la data: la legge 40 è del 10 marzo 2004, esattamente 11 anni dopo l’entrata in vigore, sono nati due bambini in Italia. Ma Louise Joy Brown, la prima bambina nata con fertilizzazione in vitro è del 1978: non parliamo quindi di innovazioni, ma parliamo di una rinata possibilità in Italia di esercitare un proprio diritto. Il diritto a trovare una famiglia laddove è più complicato». 

Si dice i primi nati in Italia: ma forse è più corretto dire da donatrice italiana, perché molti genitori sono stati obbligati a rivolgersi a strutture estere.

«Sì, una giovane studentessa che aveva deciso di donare i propri ovuli, sottoponendosi a diverse sedute per stimolare gli ovociti, all’anestesia e così via. Un impegno importante, che ha anche un piccolo rimborso spese per i giorni di lavoro perduti: questo fatto è preso di mira dalle polemiche che parlano di commercializzazione degli ovuli e del proprio corpo: ma non è così, perché vengono rispettate le linee guida internazionali; anche sul fenotipo, tra l’altro, ovvero occhi, capelli corporatura carnagione simili a quelli della mamma. Prima la migrazione era verso altri paesi europei, ora forse lo è in diverse regioni, che danno possibilità diverse: ma dovrebbe essere un diritto della persona poter beneficiare delle risorse della realtà in cui vive. Bisognerebbe mettere mano all’allocazione delle risorse, prevedere un piano a carattere nazionale anziché regionale, per evitare delle variabilità a seconda del territorio e delle strutture. Se è un diritto dev’esserlo per tutti, non a seconda delle proprie condizioni economiche e della propria residenza».

Alcuni commenti parlano di eugenetica, cosa ne pensa?

«Credo che sia facile e comodo falsare i termini del discorso, così come in tutte le questioni che riguardano la bioetica e le pratiche medicalmente assistite: ci sono persone che ritengono validi dei principi assoluti, e quando cadono è un disastro. Se si parla di aborto, non ci saranno mai più bambini; se si parla di divorzio o di coppie omosessuali, non ci saranno più famiglie; se si parla di direttive anticipate di fine vita o di eutanasia, che sono due cose diverse, allora le persone deboli saranno abbandonate. Non è così, ogni situazione deve partire da dei presupposti, in questo caso deve essere accertata medicalmente una patologia irreversibile di infertilità, quindi non c’è la possibilità di scegliere un bambino in base ai propri gusti. Il medico, in base alla paziente sceglierà la strada migliore».

La legge è stata 33 volte in tribunale. Le leggi che riguardano l’etica hanno bisogno di essere ritoccate?

«Sono per un diritto aperto e leggero, come dice Rodotà, che preveda una regolamentazione di principi, ma mantenendo la libertà di scelta e di autodeterminazione che va garantita a ogni cittadino. Penso che una legge che vuole regolamentare una data materia non possa essere costituita solo da divieti. Una legge deve regolare e disporre, non solo proibire: con la Legge 40 il fine era chiaro, non garantire un diritto ma limitare l’accesso a questo tipo di risorsa».

Foto “Colibri-thalassinus-001-edit” di Mdf. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.