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“Messa” in onda

Da pochi giorni è stato presentato il nuovo “Rapporto sulle confessioni religiose e tv”, che da cinque anni la Fondazione Critica Liberale redige monitorando 24 ore al giorno i principali canali televisivi, pubblici e privati, con un attenzione particolare ai telegiornali e alle trasmissioni di approfondimento. Per osservare lo spazio concesso alle diverse confessioni religiose in Italia «ci siamo affidati ad una società di ricerca per il monitoraggio, la stessa che utilizza l’AgCom» dice Enzo Marzo, direttore della Fondazione. Il rapporto ha preso in esame i palinsesti delle reti generaliste dal 1° settembre 2013 al 31 agosto 2014, monitorando tutte le edizioni dei telegiornali, i programmi a carattere religioso, le fiction e i documentari di argomento religioso. Il rapporto sottolinea che sono esclusi dalle analisi «gli avvenimenti che sfiorano le religioni o che hanno radici religiose profonde, ma che hanno assunto carattere politico, come le questioni che travagliano il Medioriente, il terrorismo islamista, le guerre nel continente africano, la proclamazione del Califfato nella regione del Golfo» scelta fatta già nelle precedenti edizioni, non condizionata dunque dagli sconvolgimenti politico-religiosi degli ultimi mesi. Lo scorso 26 marzo i rappresentanti di Critica Liberale e della Società Pannunzio per la libertà d’informazione hanno incontrato Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza Rai con cui hanno discusso i risultati della ricerca. Ne abbiamo parlato con Enzo Marzo.

Perché questo rapporto?

«Abbiamo realizzato questo rapporto per dimostrare una cosa evidente a tutti i telespettatori: le confessioni religiose in tv hanno un trattamento diseguale e l’abbiamo documentato su trasmissioni diverse. I dati sono terrificanti. In Italia anche in questo campo non c’è libertà religiosa. C’è un monopolio praticamente assoluto della confessione cattolica. Su Repubblica c’è un intervista a un sociologo che sostiene che il monopolio è effettivo, perché tutti gli italiani sono cattolici: mi spiace ma non è vero. Se andiamo a vedere quello che dice la stessa sociologia cattolica, ovvero che un terzo degli italiani va a messa, non è così».

Come parla di religione la televisione?

«I protestanti e gli ebrei sono nel palinsesto notturno. Fa pensare che debbano essere tutti insonni, per aspettare le due di notte per sentire parlare della loro fede. Per quanto riguarda i telegiornali dedichiamo un focus particolare al papa: all’interno del Tg1, nel 2009, il papa ha avuto 51 minuti; nel 2014 più di 3 ore. Su RaiNews24, papa Benedetto XVI è apparso nel 2009 per 2 ore, mentre Papa Francesco nel 2014 per 27 ore. Questo apre molte questioni, come ad esempio da chi e come vengono scelti i vaticanisti nelle televisioni. Le cifre sono spaventose, ma possiamo dire, paradossalmente, che non c’è educazione religiosa. Viene privilegiato l’avvenimento, la messa, la cerimonia, ma non c’è una vera e propria discussione sul fenomeno religioso e il livello di approfondimento non esiste. Questo penalizza persino i cattolici. Porta a Porta ha dedicato 15 puntate al fenomeno religioso, con 29 presenze di cattolici su 30. Solo due laici sono stati interrogati: uno era Scalfari, che ormai è in odore di santità, e l’altro era Andreoli, che ha una rubrica su Avvenire, giornale ufficiale della Cei. Questo per dire a che punto di faziosità si può arrivare. Parlando di numeri, ogni minoranza è intorno allo zero virgola. Se si sommano tutte insieme si arriva al 3 % di presenza. Nelle trasmissioni religiose l’Islam ha avuto 7 minuti nel 2014.

Da poco avete incontrato Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza Rai, cosa è successo?

«Dopo aver fatto un esposto all’Agcom, ci è stato risposto che il pluralismo religioso è perfettamente rappresentato, anche se i dati dicono altro. A Roberto Fico abbiamo presentato il rapporto e lui l’ha trovato clamoroso, non si aspettava questi dati. Fico ha preso atto di questi numeri e delle nostre posizioni, ma non ci poteva dare immediatamente una risposta: insisteremo sul fatto che questo sistema informativo non funziona. Questo è solo il tassello più vistoso di mala informazione».

Questo rapporto è sostenuto dall’Otto per Mille valdese, cosa significa per voi?

«La possibilità di farlo. Loro fanno un opera assolutamente benefica: tenga presente che i valdesi dicono con assoluta trasparenza a cosa vanno i fondi da loro destinati. Ci forniscono i mezzi per fare questa ricerca, che è in linea con la loro battaglia di libertà religiosa. Quest’ultima è legata all’assenza o alla presenza di privilegi. Se una religione è privilegiata rispetto alle altre, non c’è libertà religiosa. Questa è una battaglia che dovrebbe appartenere anche e soprattutto ai credenti».  

Ascolta l’intervista su Radio Beckwith

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